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L'arringa dell'avvocato Panepinto

Un processo che ha portato ad un "castello di menzogne", a "schizzi di fango", ad una "gogna mediatica" ed una serie di "ricostruzioni romanzesche" ed "illazioni". Sono solo alcune delle considerazioni che l'avvocato Giuseppe Panepinto (in foto), legale del poliziotto Mario Bo, imputato con altri due poliziotti, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, ha espresso nella sua arringa per descrivere il processo sul depistaggio sulla strage di via d'Amelio.
I poliziotti sono accusati di concorso in calunnia aggravata dall'avere favorito Cosa nostra. La Procura di Caltanissetta ha chiesto al Tribunale presieduto da Francesco D'Arrigo la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e nove anni e mezzo per Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Pur ammettendo che sulla strage di via D'Amelio c'è stato "il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana", come dice anche la Cassazione, il legale nella sua arringa ha allontanato ogni accusa dal suo assistito.
Il depistaggio, secondo Panepinto, non fu "opera dei tre poliziotti imputati o di magistrati e uomini dello Stato", ma di "tre balordi", cioè i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta.
Poco importa, evidentemente, se proprio la sentenza Borsellino quater abbia evidenziato come Scarantino sia stato "indotto a mentire".
Nella sentenza di primo grado del Borsellino quater quel depistaggio costato la condanna all'ergastolo a sette innocenti poi scarcerati e scagionati nel processo di revisione, venne indicato dalla Corte d'Assise come "un proposito criminoso determinato essenzialmente dall'attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri". E i riflettori venivano puntati proprio sul gruppo degli investigatori dell'epoca, guidato da Arnaldo La Barbera (deceduto).


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Arnaldo La Barbera © Imagoeconomica


Secondo i giudici sarebbero stati loro a indirizzare l'inchiesta costruendo i falsi pentiti e la motivazione non si sarebbe celata dietro un'ansia di ottenere risultati nella ricerca dei responsabili del delitto del 19 luglio 1992. Lo Scarantino viene infatti definito come "un soggetto psicologicamente debole che era rimasto per un lungo periodo di tempo (quasi un anno e nove mesi) in stato di custodia cautelare proprio a seguito delle false dichiarazioni rese dal Candura sul suo conto, ed era stato, frattanto, oggetto di ulteriori propalazioni, parimenti false, da parte dell’Andriotta, il quale millantava di avere ricevuto le sue confidenze durante la co-detenzione. Egli quindi, come ha evidenziato il Pubblico Ministero, aveva 'maturato la convinzione che gli inquirenti lo avessero ormai 'incastrato' sulla scorta di false prove'".
Secondo la Corte furono compiute "una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell'agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte".
Ed è da quel presupposto, a cui si sono aggiunte nel tempo anche altre prove, che si è arrivati al processo.
Tuttavia per Panepinto non è possibile accusare Bo.
Il legale, in 8 ore di arringa, ha parlato della gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino, ma anche di "personaggi in cerca d'autore" che sarebbero apparsi nel corso del dibattimento.
Il riferimento è ai "testimoni dell'accusa", definiti "inaffidabili" e "inattendibili".
"Prima di formulare accuse infamanti che espongono alla gogna mediatica, non solo i poliziotti, ma anche i magistrati colpiti da schizzi di fango, prima di fare queste accuse a un uomo dello Stato, ci vogliono delle prove, che qui non ci sono - ha detto Panepinto - Abbiamo sentito parlare di 'prove granitiche' che non abbiamo mai visto. E abbiamo trovato semplici sospetti, dubbi ed illazioni, fatti in quest'aula di giustizia".


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Vincenzo Scarantino


Poi ancora, non nascondendo il riferimento alle parti civili e al pm Luciani, ha aggiunto: "Chi mi ha preceduto ha ritenuto di dovere ringraziare il Tribunale. Non me ne voglia questo Tribunale, ma io ritengo che non si debba ringraziare nessuno, perché se siamo qui in un'aula di giustizia, è perché il mio assistito avrebbe fatto a meno di stare in questa aula e perché il Pm ha ritenuto di fare un'indagine che era stata archiviata ed esercitare l'azione penale". E ancora: "Ho avuto un certo smarrimento in diversi momenti di questo processo, non certo perché vi siano stati argomenti particolarmente incisivi. Non è mancanza di rispetto nei confronti dell'accusa - prosegue ancora l'avvocato Giuseppe Panepinto - Ma un grande senso di smarrimento perché ho avuto l'impressione di partecipare a un processo diverso delle altre parti, di avere valutato prove documentali diverse da quelle di cui vi hanno parlato le parti. Ovviamente abbiamo sentito parlare del 'dovere di verità', di rispetto delle vittime della strage e di rispetto per la memoria. Naturalmente provo totale rispetto per le parti delle vittime di questa terribile tragedia che ha sconvolto lo Stato italiano, per i loro parenti e coloro che hanno subito un danno e tutti i cittadini italiani".
Per l'avvocato "la memoria di coloro che non possono difendersi è stata ampiamente screditata, mi riferisco a tutti gli uomini dello Stato che si sono succeduti, dei testimoni tacciati di essere collusi, di volere coprire e infangare, occultare, sono accuse gravi che vengono fatte, specie in un'aula di giustizia".
Quindi ha fatto riferimento al processo che "per anni ha costretto gli imputati a subire di tutto ciò che un processo comporta, le sofferenze, conseguenze in ambito personale, familiare e lavorativo. Anche malattie e sofferenze, sono la conseguenza di questo processo". E del suo assistito, Bo ha detto: "E' un uomo dello Stato integerrimo, un uomo del quale ho avuto modo di apprezzare la dignità, e soprattutto il grande senso di abnegazione e rispetto per lo Stato, ancora oggi dopo quello che ha subito, ancora oggi dice che rifarebbe tutto ciò che ha fatto".
"Lasciamo fuori da qui i libri, scritti da ex magistrati e giornalisti, chiunque scrive e parla di questa vicenda - ha affermato Panepinto - il top è stato raggiunto quando anche Candura (il falso pentito ndr) aveva un memoriale che voleva pubblicare. E poi ancora interviste televisive. Lasciamole fuori dall'aula di giustizia". Ed ha aggiunto: "Si continua a parlare di fatti mai accaduti ed esistiti, si continua a parlare di altre verità". Poi Panepinto ha proseguito: "Mario Bo è un uomo dello Stato. Forse qualcuno avrebbe voluto che accusasse i magistrati... Ma lui ha sempre e solo detto la verità, le cose che sono accadute. Lui sì. Gliene hanno dette di tutti i colori, gli hanno dato del mafioso e del colluso, e lui è sempre rimasto in silenzio, a subire". "E' stata screditata anche la memoria di coloro che sono defunti e oggi non possono difendersi e mi riferisco a magistrati, poliziotti, accusati di essere collusi, di voler depistare. Sono accuse gravi e infamanti che espongono alla gogna mediatica. E prima di muoverle ci hanno insegnato che bisogna avere le prove. Noi siamo pronti a parlare di verità, ma devono essere fatti riscontrabili. Non abbiamo paura della verità, perché la verità non deve fare paura a chi non ha commesso determinati fatti. Mentre qui tutti i testimoni dell'accusa sono inattendibili e inaffidabili".


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Il Tribunale di Caltanissetta


Sull'accusa della Procura, Panepinto ha detto: "Ma è davvero credibile che Bo abbia indottrinato Scarantino? Si può pensare mai che uno indottrina in una vicenda così delicata?". E va nello specifico: "Nell'interrogatorio del 28 settembre 2009 Vincenzo Scarantino dice di non ricordare se le dichiarazioni rese fossero frutto di notizie di stampa o di suggerimenti. Nell'interrogatorio ci dice che lui comprava il quotidiano 'Il Giorno', e l'altro detenuto 'Il Corriere della Sera', e quindi erano informati. Lui stesso ha detto 'Ci sono tante cose che ho letto sui giornali'. Dice di non aver subito costrizioni perché altrimenti avrebbe reagito. Ha affermato di non avere avuto suggerimenti prima degli interrogatori. In un successivo interrogatorio dell'ottobre 2009 dice che Bo non gli aveva mai fatto promesse". "Questo Scarantino è sicuramente un sempliciotto, per essere generosi - ha ricordato ancora il legale - Scarantino non fu indottrinato ma fece le sue dichiarazioni sulla base di notizie giornalistiche, informazioni che sentiva negli ambienti carcerari, dalle contestazioni fatte durante i processi e durante gli interrogatori, ma anche di cose apprese nel contesto familiare. Lo stesso PM che quando fece la richiesta di archiviazione ci diceva che l'indottrinamento di Scarantino non era credibile oggi basa su questo le sue accuse". Poi ha sostenuto che nella gestione di Scarantino in Liguria, "non c'era alcuna anomalia". Ed ha spiegato: "I poliziotti del gruppo Falcone Borsellino non lo tolleravano questo servizio di protezione a Vincenzo Scarantino. Erano abituati a combattere la mafia e non ne potevano più dei suoi capricci. Quindi non avevano alcun motivo per tenersi questo servizio".
Eppure il suo assistito si rese protagonista di un episodio grave come la colluttazione avvenuta a San Bartolomeo a Mare con il falso pentito.
Una vicenda che nel Borsellino quater vide anche il confronto tra il poliziotto, lo Scarantino ed anche la moglie, Rosalia Basile.
L'arringa difensiva dell'avvocato Giuseppe Panepinto proseguirà lunedì prossimo, 6 giugno, per le conclusioni del suo intervento. Poi toccherà all'avvocato Giuseppe Seminara, legale degli altri due imputati, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. E, salvo imprevisti, tra metà e fine giungo sarà emessa la sentenza.

Foto di copertina tratta da: adnkronos.com

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