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Foreign Affair rivela la bozza completa dell'accordo di Istanbul: ritiro russo e garanzie di sicurezza in cambio di neutralità

Emergono ancora nuove conferme sulle responsabilità occidentali nel perseguimento ad oltranza di una guerra d'attrito con la Russia, adoperando l'intera Ucraina come agnello sacrificabile fino all'ultimo uomo. A darcene conferma è ora la prestigiosa rivista di politica internazionale Foreign Affair che racconta nuovi retroscena su quella finestra di dialogo apertasi tra Mosca e Kiev nel marzo 2022, bruscamente deragliata nel maggio dello stesso anno.
"Nel mezzo dell’aggressione senza precedenti di Mosca, i russi e gli ucraini hanno quasi concluso un accordo che avrebbe posto fine alla guerra e fornito all’Ucraina garanzie di sicurezza multilaterali, aprendo la strada  verso la sua neutralità permanente e, in futuro, la sua adesione all’UE. Un accordo definitivo, tuttavia, si è rivelato sfuggente per una serie di ragioni", afferma la pubblicazione, spiegando che i partner occidentali di Kiev erano riluttanti a lasciarsi coinvolgere in un negoziato con la Russia che avrebbe creato nuovi impegni per garantire la sicurezza dell’Ucraina.
Eppure, come evidenziato dall'ex consigliere dell'ufficio presidenziale di Zelensky, Oleksiy Arestovych, membro della delegazione ucraina, "è stato l’accordo più redditizio che avremmo potuto fare”.  In un’intervista del 24 novembre 2023, aveva riconosciuto che la Russia era “pronta a porre fine alla guerra se avessimo accettato, come fece una volta la Finlandia, la neutralità e ci fossimo impegnati a non aderire alla NATO”. Secondo lui il “punto chiave” per Mosca era proprio la garanzia che l’Ucraina non avrebbe aderito all’Alleanza.
Una linea che venne confermata dallo stesso Zelensky il 27 marzo 2022, nel pieno delle trattative. "Garanzie di sicurezza e neutralità, lo status di paese libero dal nucleare. Siamo pronti ad accettarlo. Questo è il punto più importante. Questo è stato il primo punto fondamentale per la Federazione Russa, per quanto ricordo", affermò allora.
Tutte queste esternazioni hanno trovato riscontro nella pubblicazione in questione di Samuel Charap (della Rand Corporation) e Sergey Radchenk che hanno ottenuto una copia del testo completo della bozza del comunicato, intitolato “Disposizioni chiave del Trattato sulle garanzie di sicurezza dell’Ucraina”, ottenuto dagli incontri più importanti, svoltisi il 29 marzo a Istanbul, in Turchia.
Gli ucraini avevano in gran parte redatto il comunicato e i russi avevano provvisoriamente accettato l’idea di utilizzarlo come quadro per un trattato” che avrebbe reso il Paese “uno stato permanentemente neutrale e non nucleare. L’Ucraina rinuncerebbe a qualsiasi intenzione di aderire ad alleanze militari o di consentire basi militari o truppe straniere sul suo territorio”. Il comunicato elencava come possibili garanti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (compresa la Russia) insieme a Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia, con la clausola che se fosse stata attaccata e avesse richiesto assistenza, “tutti gli Stati garanti sarebbero obbligati, previa consultazione con l'Ucraina e tra di loro, a fornire assistenza all'Ucraina per ripristinare la sua sicurezza”.
Come evidenziato dalla pubblicazione, gli obblighi erano stati “enunciati con molta maggiore precisione rispetto all’articolo 5 della Nato” e prevedevano di “imporre una no-fly zone, fornire armi o intervenire direttamente con la forza militare dello Stato garante.
Il comunicato, inoltre, invitava “le due parti a cercare di risolvere pacificamente la controversia sulla Crimea nei prossimi 15 anni” e avrebbe addirittura lasciato aperto “il percorso di Kiev verso l’adesione all’UE”.
In sostanza, gli autori si dicono sorpresi che Vladimir Putin fosse disposto a garantire concessioni tanto favorevoli a Zelensky e che facesse pressioni sulla “sua richiesta di più lunga data: che l’Ucraina rinunciasse alle sue aspirazioni NATO e non ospitasse mai forze NATO sul suo territorio”.
Ma che alla base dello scoppio del conflitto vi fosse il crescente espansionismo dell’Alleanza è stato costretto ad ammetterlo persino il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, alla commissione Affari Esteri dell’Unione Europea tenutasi nel settembre 2023: “Voleva che rimuovessimo le infrastrutture militari in tutti i Paesi entrati dal 1997, il che voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la Nato dall’Europa Centrale e Orientale, introducendo una membership di seconda classe. Lo abbiamo rifiutato e lui è andato alla guerra, per evitare di avere confini più vicini alla Nato”, aveva affermato Stoltenberg allora.
Proseguendo con l’analisi storica degli avvenimenti che seguirono, Foreign Affair evidenzia che il capo della delegazione russo nel suo intervento il 29 marzo si era mostrato “decisamente ottimista, spiegando che le discussioni sul trattato sulla neutralità dell’Ucraina stavano entrando nella fase pratica e che… era possibile che Putin e Zelensky lo firmassero in un vertice nel prossimo futuro”.
Nemmeno la strage di Bucha aveva stroncato le aspirazioni reciproche nell’ottenere un accordo che avrebbe garantito una soluzione immediata per la fine delle ostilità. “Sorprendentemente (dopo Bucha - ndr), le due parti hanno continuato a lavorare 24 ore su 24 su un trattato” che i due capi di stato “avrebbero dovuto firmare”, continua la pubblicazione.
Si arriva alla bozza del 15 aprile che suggerisce come il trattato sarebbe stato sottoscritto “entro due settimane”, lasciando a Putin e Zelensky la decisione finale sui confini.
Cosa accadde in seguito? Perché deraglio un accordo che avrebbe potuto risparmiare all’Ucraina un incalcolabile bagno di sangue?
Putin ha affermato che le potenze occidentali sono intervenute e hanno inasprito l’accordo perché erano più interessate a indebolire la Russia che a porre fine alla guerra”, scrivono gli autori, menzionando una lettura dei fatti condivisa anche dall’ex premier israeliano Naftali Bennet, secondo cui si decise cioè di “continuare a colpire” il leader del Cremlino e “non negoziare”.
Boris Johnson è venuto a Kiev e ha detto che non avremmo firmato nulla con loro”: riferì nel merito, il capo del partito Servitore del Popolo Davyd Arakhamiia.
La pubblicazione, pur non ritenendo che l’Occidente abbia costretto l’Ucraina a ritirarsi scrive tuttavia che “le offerte di sostegno devono aver rafforzato la risolutezza di Zelensky, e la mancanza di entusiasmo occidentale sembra aver smorzato il suo interesse per la diplomazia”. Inoltre anche “la ritrovata fiducia degli ucraini nella possibilità di vincere la guerra ha chiaramente giocato un ruolo”.
Un calcolo tremendamente errato, costato centinaia di migliaia di vite innocenti e che potrebbe portare il Paese all’annichilimento totale nel prossimo futuro, sacrificando un’intera generazione sull’altare dei perversi calcoli strategici dei signori della guerra, che certamente hanno ottenuto non poche vittorie nei loro bilanci, gonfiati dalle crescenti commesse militari, utili a questa carneficina.

In foto di copertina: i primi negoziati in Turchia tra Ucraina e Russia il 27 Marzo 2022 © Imagoeconomica

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