Intervista alla nipote del giornalista Beppe Alfano
Nelle ultime settimane hanno destato un certo scandalo, nel panorama universitario, scolastico e non solo, alcune parole dette da Costantino Visconti, professore ordinario di Diritto penale dell’Università di Palermo nonché allievo di Giovanni Fiandaca, giurista noto per le sue posizioni critiche nei confronti del concorso esterno in associazione mafiosa e del processo sulla Trattativa Stato-mafia. Abbiamo raggiunto Giusy Benigno Alfano, nipote del giornalista Beppe Alfano (ucciso dalla mafia l'8 gennaio 1993) e figlia di Sonia Alfano. Anche lei è una studentessa, laureanda alla Lumsa di Palermo, quindi in parte "chiamata in causa" sul tema d'argomento.
In un'intervista rilasciata al quotidiano “Il Foglio”, parlando di "un'antimafia nichilista" che "punta inesorabilmente a celebrare l’invincibilità della mafia e dei suoi registi occulti”, di fatto, chiedeva la “messa al bando” del magistrato Nino Di Matteo e del giornalista Saverio Lodato dall'elenco degli invitati nelle scuole per parlare di mafia, con queste parole: “È chiaro che fino a quando nelle scuole si continueranno a invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”. Da giovane studentessa, ma anche familiare vittima di mafia cosa ne pensi?
In merito alle riflessioni rilasciate alla stampa dal Prof. Visconti, professore ordinario di diritto penale dell’Università di Palermo, francamente mi chiedo come sia possibile che un professore del suo spessore possa credere, e soprattutto affermare una sorta di censura nei confronti di un giornalista come Lodato, da sempre punto di riferimento nell’ambito della cronaca giudiziaria mafiosa nonché memoria storica della lotta alla mafia, e soprattutto nei confronti del magistrato Nino Di Matteo che ha sacrificato la sua vita per indossare la toga e dedicarsi alla lotta contro le mafie, il malaffare e i vari legami tra gli esponenti di spicco della mafia e pezzi deviati delle nostre situazioni, e che hanno dato vita alla trattativa stato mafia. Alla luce di queste prime considerazioni trovo assolutamente ovvio quanto affermato da Visconti quando dice che “per sconfiggere le mafie bisogna rivolgersi allo Stato”, ma trovo altrettanto corretto e trasparente quanto sostenuto da Di Matteo quando dice che “purtroppo la forza delle organizzazioni criminali sta nell’abile capacità di tessere rapporti con il potere, e che esiste anche lo Stato-mafia”.
Da studentessa ormai al termine del mio percorso di studi in giurisprudenza con il sogno di diventare magistrato, e nipote di Beppe Alfano, ultimo giornalista ucciso dalla mafia a Barcellona nel 1993, ritengo irrispettoso nei confronti dei nostri familiari morti nella lotta alle mafie, negare la presenza della mafia all’interno delle nostre istituzioni. E queste connivenze non sono frutto di una ricostruzione fantasiosa di Lodato e di Di Matteo, ma sono tristi e raccapriccianti verità emerse da attività d’indagine, processi e quindi sentenze, che ci raccontano di esponenti politici al servizio di Cosa Nostra e non solo, di esponenti dello Stato piegati alle richieste dei boss sottoposti al regime del 41/bis. Ecco, davanti a tutto questo, io ritengo che sia un dovere e non una scelta, quella di raccontare fatti che sono ormai acclarate verità processuali, agli studenti, ai cittadini, a tutto il Paese.
Infine, ritengo stucchevole commemorare il giudice Falcone e poi non tenere conto delle sue stesse dichiarazioni sui legami tra Stato e centri di potere occulto, rilasciate proprio al giornalista Lodato.
A tale proposito, nel ricordo di mio nonno che non ho potuto conoscere perché ucciso prima della mia nascita, ritengo assai grave che un docente universitario, quindi un intellettuale, invochi la censura nei confronti di un giornalista. Mio nonno ha raccontato la mafia fino al giorno in cui è stato ucciso, il suo ultimo articola riporta proprio la data dell’8 gennaio 1993, e a distanza di oltre 30 anni leggere quanto dichiarato dal Prof. Visconti, rischia di far apparire vano il sacrificio di mio nonno, agli occhi di noi giovani.
Cento studenti hanno preso carta e penna per esprimere la loro contrarietà rispetto a censure, ribadendo il diritto di manifestare il proprio pensiero ed invitare anche chi più ritengono. Sei d'accordo con loro?
Come hanno già dettagliatamente affermato i colleghi degli istituti e dell’università di Palermo nella loro lettera, far crescere le nuove generazioni sulla convinzione che la mafia sia stata sconfitta, e che lo Stato sia immune da ogni forma di contatto, se non addirittura di qualsivoglia forma di controllo, significherebbe far crescere quelle stesse generazioni sulla menzogna. Noi pretendiamo e meritiamo la verità, abbiamo il diritto di sapere e di conoscere quanto sangue innocente è stato versato, per consentire a questo paese di poter debellare le mafie.
Giusy Benigno Alfano
Abbiamo anche il dovere di non dimenticare il sacrificio dei nostri famigliari, e nel mio caso farò di tutto per proseguire la lotta alle mafie che mio nonno aveva intrapreso; lo farò, spero, indossando una toga nel ricordo di tutte le vittime innocenti della mafia, e la responsabilità che ne avverto, non può assolutamente prescindere dal sangue versato da mio nonno, sul cui omicidio ancora oggi vengono messi in atto beceri tentativi di depistaggio.
Perché a tuo modo di vedere, anche tenuto conto della vicenda che ha riguardato tuo nonno, in cui i depistaggi non sono mancati, è così difficile parlare di certi argomenti nelle scuole? E perché fa così tanto paura?
Proprio 10 giorni fa ero in Tribunale a Messina accanto a mia madre, Sonia Alfano, che da 30 anni si batte per ottenere giustizia per mio nonno. Per me è assurdo che dopo 30 anni ancora si parli di indagini nei confronti di mandanti occulti o di indagati su cui pende la richiesta di archiviazione, nonostante diversi pentiti ne stiano ampiamente parlando, raccontando ruoli e responsabilità. Negli ultimi anni sembra sia quasi passata di moda la lotta alla mafia attraverso l’informazione ed il coinvolgimento degli studenti. Forse temono che giovani informati e consapevoli, non si rendano strumento di consenso per i loro sporchi interessi? Io sto imparando a conoscere le mafie attraverso la storia di mio nonno e le battaglie di mia madre. Lei dice sempre che non dimenticherà mai l’odore del sangue di mio nonno; io non dimenticherò mai le lacrime di mia madre e il suo senso di solitudine che ancora oggi le fa compagnia.
Si dice spesso che la mafia non spara più, quindi non è pericolosa. O che i grandi boss sono stati tutti catturati, quindi lo Stato ha vinto. Almeno così è accaduto di recente con l'arresto di Matteo Messina Denaro... Secondo te come si può uscire dal percorso di normalizzazione e banalizzazione dei fenomeni mafiosi e dei sistemi criminali che si sta sviluppando in questi anni?
A mio parere ritengo che le mafie siano ancora oggi molto pericolose, piuttosto influenti sulle dinamiche e gli equilibri che contraddistinguono da sempre la storia del nostro Paese. Anche in merito all’arresto di Matteo Messina Denaro, spero che presto emergano anche i nomi di tutti coloro i quali ne hanno garantito la latitanza, che siano politici, professionisti e persino appartenenti alle forze dell’ordine. Se davvero vogliamo sdoganare alcuni luoghi comuni, la lotta alla mafia deve essere determinata, articolata e senza esclusione di colpi. Non possono e non devono esistere segreti di Stato, non si può pensare di tagliare soltanto i tentacoli di una piovra che nel tempo ha rafforzato la sua testa. Se davvero vogliamo rendere onore e merito alle nostre vittime, dobbiamo pensare alla lotta alla mafia non perdendo mai di vista chi è la vittima e chi è il carnefice. Ho visto troppe vittime di mafia abbandonate al loro dolore, e lasciate da sole a provare l’innocenza dei loro cari.
È necessario potenziare il comparto delle forze dell’ordine, dando alla magistratura dei tempi ben precisi, e soprattutto bisogna dimostrare che la legge è uguale per tutti. Dal killer che spara, al senatore che ha avuto rapporti e cointeressenze con la mafia. Giusto per non dimenticare.
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La rubrica di Saverio Lodato
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