Un’antica storia cinese racconta che a un contadino che periodicamente elencava le disgrazie che gli stavano accadendo, morte del bestiame, incendio dei campi, gravissimi lutti in famiglia, un vecchio saggio non faceva altro che rispondergli: “E chi ti dice che sia una disgrazia?”. Intendeva dire, in altre parole, che da cosa nasce cosa, e non bisogna mai disperare. In altre parole, tutto scorre.
Occorre infatti attingere alla millenaria cultura cinese per trovare risposta alla catena di vicende paradossali, sconcertanti, autentici fulmini a ciel sereno, che hanno scandito le ultime settimane sul fronte della lotta alla mafia.
Basta scorrere i titoli che aprono, anche in questo momento, le pagine di ANTIMAFIADuemila. Una raffica di colpi di scena.
Diamo un’occhiata a volo d’uccello.
A presiedere la diciottesima (se i conti sono esatti) commissione parlamentare antimafia, è stata chiamata una signora, parlamentare di Fratelli d’Italia, che, a prestare fede alla grande stampa (con allegate fotografie incontrovertibili), vanta amicizie eccellenti nella galassia del terrorismo nero e eversivo, coinvolto nella strage di Bologna (85 morti).
E’ scoppiato un putiferio.
I familiari delle vittime delle stragi (alcuni però, non tutti) hanno protestato duramente chiedendo al governo di ritirare quella candidatura.
Salvatore Borsellino ha espresso parole altrettanto chiare. Ex magistrati, pensiamo a Roberto Scarpinato e Gian Carlo Caselli, hanno fatto altrettanto.
In sede politica, parlamentari Pd e 5 Stelle, hanno scelto la via del cosiddetto Aventino (che però come tutti gli antidolorifici alla lunga generano assuefazione), non votando la signora, salvo poi votare il vice della signora (nella persona dell’ex magistrato Federico Cafiero de Raho dei 5 Stelle).
Detto per inciso, abbiamo perfettamente condiviso Paolo Mieli, qualche sera fa a “Otto e mezzo”, quando ha osservato che certi Aventini non possono durare lo spazio di un mattino, quando la posta in gioco è troppo alta, troppo simbolica, troppo indigeribile per l’opinione pubblica. Insomma: le opposizioni avrebbero fatto meglio ad abbandonare baracca e burattini così che gli italiani sapessero che quella sarebbe stata l’antimafia di Fratelli d’Italia. Niente di più e niente di meno.
Ma cosa fatta capo ha.
Pare che la signora sia amica di Giorgia Meloni, della quale è considerata una fedelissima. E la signora si è disinvoltamente schermita dicendo di aver conosciuto quegli ambienti che le vengono contestati, e che obbiettivamente sanno un po' di fascismo eversivo, in una loro seconda vita, spesa oggi all’insegna della difesa dei diritti dei detenuti. Insomma, li ha conosciuti da redenti.
Galassia, rete, catena, chiamatela come vi pare, mirabilmente descritta in un recente servizio della trasmissione Report di Rai 3 diretta da Sigfrido Ranucci. E che proprio per quel servizio si è beccato una denuncia per diffamazione, da parte dell’avvocato Gian Domenico Caiazza, in nome di un garantismo - a suo dire - calpestato.
Avrebbe detto, a questo punto il saggio cinese: “E chi ti dice che sia una disgrazia?”.
Abbiamo poi assistito a Palermo, in occasione del 23 maggio, a provvedimenti di prefettura e questura che disponevano il divieto all’ingresso in via Notarbartolo, di fronte all’Albero Falcone, a quelle associazioni di giovani non previste e non gradite dalla cerimonia ufficiale.
“Fatto inaudito” lo ha definito il procuratore Nino Di Matteo, e sulla stessa lunghezza d’onda di dichiarazioni sono stati in tanti ai quali - evidentemente - la testa ancora funziona. Che spettacolo, infatti, vedere i poliziotti in assetto antisommossa caricare: nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci, giovani e cittadini scesi in piazza a gridare il loro sdegno per la strage di Capaci.
Il fatto è che sul palco, quello ufficiale, quello previsto dalla cerimonia, quello voluto dalla Fondazione che da trent’anni regola il traffico dell’antimafia, stavano la signora Maria Falcone, l’ex senatore Piero Grasso, il capo del governo siciliano Renato Schifani e il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.
Non si erano invece fatti vedere Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro i quali, ormai completamente riabilitati avendo scontato galera e condanne per mafia - come ha osservato a suo tempo il professor Giovanni Fiandaca -, avrebbero tutti i diritti di questo mondo per esprimersi liberamente a tutto campo.
Ma qui non dobbiamo dare la colpa a quelli che non c’erano.
Infatti, Alfredo Morvillo, cognato di Maria Falcone, nei giorni di vigilia del 23 maggio, aveva ribadito la sua polemica annuale affermando che i politici “chiacchierati” su quel palco non dovrebbero salire.
Ma anche in questo caso cosa fatta capo ha.
Maria Falcone avrebbe poi spiegato che lei invita le istituzioni e non le persone, e che da lassù (dal palco) non poteva sapere quello che accadeva quaggiù (sul marciapiede) dove poliziotti e giovani se le davano di santa ragione proprio nel giorno dell’anniversario di Capaci.
Piero Grasso invece, tirato in ballo da una lettera aperta di Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, intervenendo a Mezz’ora in più, da Lucia Annunziata, avrebbe espresso la sua solidarietà a poliziotti e giovani contusi. In casi del genere, non c’è un torto e una ragione? O no?
Avrebbe detto il saggio cinese: “E chi ti dice che sia una disgrazia?’”.
E infatti, per la prima volta negli ultimi anni a Palermo, 80 professori di scuole medie inferiori e superiori hanno preso carta e penna per denunciare tutto il loro sdegno di fronte alle immagini dei giovani caricati dalla polizia, e di fronte a quell’ordine prefettizio, quindi ministeriale, che vietava l’accesso a via Notarbartolo.
E ci hanno messo la firma. Nome e cognome. Il che, nella Palermo dell’“aum aum” fa sempre un certo effetto.
Dicevamo di quell’ordine ministeriale perché, forse, qualcuno dovrebbe spiegare al ministro degli interni, Matteo Piantedosi, la differenza che passa fra un raduno rap e quelli in nome del ricordo delle vittime di mafia. Sono cose differenti.
Ora sarebbe bello se ai professori delle scuole medie inferiori e superiori si aggiungessero anche quelli universitari. E segnatamente, per esempio, quelli della facoltà di Giurisprudenza, tempio del diritto palermitano in via Maqueda, dove i giovani universitari avrebbero anche loro il diritto di sapere che razza di antimafia si studia e si pratica nella loro città.
O gli studenti devono accontentarsi di alcuni insegnanti che spiegano loro - è accaduto anche questo - che il Maxi processo di Falcone e Borsellino fu un “obbrobrio”?
Possibile che dalla facoltà di giurisprudenza, dove si laurearono Falcone e Borsellino, non venga mai un rombo di tuono a ricordarci che la mafia è ancora tra noi? Ma abbiamo qualche dubbio che questo accadrà.
Accontentiamoci.
Mario Ridulfo, segretario provinciale della Cgil di Palermo (il sindacato ha fatto benissimo a partecipare al corteo) ha dichiarato, rivolto a Maria Falcone: “Per rispetto delle istituzioni avrebbe invitato anche Ciancimino?” e, dimostrando di avere pochi peli sulla lingua, ha rincarato la dose: “Il rispetto per le istituzioni non si misura nemmeno in ragione dei fondi che queste elargiscono, che seppur giusti e necessari per finanziare progetti di legalità, non possono condizionare giudizi e comportamenti”.
Indiscutibilmente efficace. Non c’è che dire.
Vedete perché non è detto che tutto sia sempre una disgrazia?
Alla luce di tutti questi fatti, noi escludiamo che il prossimo 19 luglio la famiglia Borsellino chiuderà via D’Amelio ai giovani che vorranno manifestare nel ricordo di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
Siamo sicuri di non sbagliare.
Foto © Paolo Bassani
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La rubrica di Saverio Lodato
L'Antimafia gode di ottima salute. Chi ti dice che sia una disgrazia?
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