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Uno dei presupposti del processo sulla trattativa Stato-mafia era legato alle stragi del continente, intese come modalità che tendeva a piegare lo Stato alle richieste di Cosa Nostra”. A dirlo è il giornalista e scrittore Saverio Lodato, intervistato da Andrea Purgatori nell’ultima puntata di “Atlantide”, andata in onda ieri sera su La7. Una puntata dedicata agli attentati di Cosa nostra e alle vicende più scioccanti riguardanti la strategia stragista della mafia e il patto sporco con lo Stato a 31 anni dalla strage di Capaci e a 30 anni da quelle del 1993. Lodato ha risposto ad alcune domande rispetto alla recente sentenza di Cassazione sulla trattativa Stato-mafia che ha visto l’assoluzione “definitiva, piena e riabilitante dei carabinieri che erano sotto processo, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni”, ha ricordato Lodato. “Non conosciamo ancora le motivazioni della sentenza” ma “siamo in una situazione paradossale”, ha affermato. “Il paradosso sta nel fatto - ha spiegato - che il processo trattativa ha avuto un primo grado di giudizio che si era concluso con la condanna di tutti gli imputati per aver commesso il fatto, poi abbiamo avuto una seconda sentenza d’appello di assoluzione degli imputati perché il fatto che avevano commesso non era considerato reato. Quindi è intervenuta in terza battuta la Cassazione, confermando le assoluzioni ma specificando che dovevano essere assolti non perché il fatto non costituisce reato ma per non aver commesso il fatto”. Secondo il giornalista “è importante sottolineare che paradossalmente la sentenza più pesante nei confronti degli imputati sta proprio nelle pagine della corte d’Appello che li manda assolti, laddove la corte sostiene che venne favorita per dieci anni, da questi rappresentanti dell’Arma dei carabinieri, la latitanza di Bernardo Provenzano”. Questo perché, ha rammentato Saverio Lodato, “in quel momento Provenzano rappresentava un’ala pacifista di Cosa Nostra che faceva gioco allo Stato utilizzare contro l’ala criminale rappresentata da Totò Riina”. E riguardo Riina, ha spiegato Lodato alle telecamere di “Atlantide”, “i giudici scrivono che non fu un caso che il covo di Riina non venne mai perquisito, consentendo alla mafia di portarsi via tutti i documenti che successivamente vi avrebbe trovato, perché c’era un accordo con la mafia in quel momento rappresentata da Provenzano che non doveva essere disturbata”.

Intervento estratto da: Speciale Atlantide - 1993-2023 - Dietro le stragi di mafia (talpe, complici e vuoti a perdere)

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