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Scriviamo con ritardo, ma, nello stesso tempo, con anticipo. Il 9 maggio scorso, il nostro capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha partecipato alla celebrazione del “Giorno della Memoria dedicato alle Vittime del terrorismo”. Discorso quasi inciso, più che scritto e pronunciato.
Spogliato dalla retorica che certe celebrazioni, gioco forza, ma spesso anche per comodità istituzionale, si portano dietro. Date, nomi e cognomi di morti, responsabilità politiche di questo o quello. Senza sconti, senza favoritismi partigiani.
Senza nastri da tagliare, senza salve di cannone, senza parate verbali, senza navi destinate a prendere il largo.
Un discorso dall’alto, verrebbe da dire.
E implicitamente rivolto a uno Stato spesso costretto a vivacchiare in basso, al ribasso, periodicamente in ginocchio e a capo chino.
Certo. Avremmo potuto scriverne prima. Ma il fatto è che restavamo in attesa di una reazione corale da parte delle forze politiche che davamo quasi per scontata, che suonasse quasi liberatoria; una reazione per ribadire che un simile affondo, da parte del capo dello Stato, non andava sprecato.
Che ingenui, che siamo stati.
Allora abbiamo letto e riletto il testo. E ci siamo imbattuti nelle due frasi che riportiamo di seguito. E abbiamo capito.
Queste.
La prima: “Una giovane Repubblica, che si è trovata a fare i conti con il terrorismo politico; con le stragi, talvolta compiute con la complicità di uomini da cui lo Stato e i cittadini si attendevano difesa; con la violenza politica, tra giovani di opposte fazioni che respiravano l’aria avvelenata di scontro ideologico, uomini da cui lo stesso Stato - dice Mattarella - e i cittadini, a rigore di logica, avrebbero dovuto essere difesi".
Potremmo grossolanamente tradurre il concetto così: uno Stato che si mordeva la coda. Questo è accaduto.
La seconda: “Si è molto parlato negli ultimi decenni dei terrorismi e dei terroristi. Della loro vita, dei loro complici, delle loro presunte ideologie, delle cause che hanno fatto da base alla loro scelta di lotta armata".
Ma soprattutto, e ascoltate bene: “Delle gravi deviazioni compiute da elementi dello Stato, e per le quali avvertiamo tutt’ora l’esigenza, pressante, di conoscere la piena verità. Su questi argomenti esistono molti studi, numerose pubblicazioni, tante trasmissioni televisive, anche di interesse e pregio”.
E qui, il capo dello Stato stima in quasi 400 le vittime del terrorismo interno, alle quali andrebbero aggiunte, precisa puntigliosamente, quelle da mettere in conto del terrorismo internazionale.


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Mai un capo dello Stato, a nostra memoria, aveva tirato in ballo le gravi deviazioni che si manifestarono all’interno delle istituzioni nei tragici anni del terrore di diverso colore.
Mai un Presidente della Repubblica, in una commemorazione così altisonante, aveva fatto riferimento alla longa manus che “dall’alto” si era fatta palese.
Quante volte infatti, - lo ricordate?, - ci avevano raccontato la pietosa bugia che da una parte c’erano i terrorismi e dall’altra c’era lo Stato?
E ricordate il buon Francesco Cossiga, ché anche lui fu capo dello Stato, il quale affermava che, essendo ormai stato chiarito tutto quello che c’era da chiarire, si doveva addivenire al più presto a una pacificazione nazionale che chiudesse definitivamente gli “anni di piombo”?
E dire che, ancora oggi, mezzo secolo dopo, gli storici non concordano nemmeno sull’esatta composizione del commando che entrò in azione in via Fani contro Aldo Moro e gli uomini della sua scorta. Ma torniamo alla cerimonia di nove giorni fa.
E rispetto al passaggio che leggerete, questa volta siamo in anticipo.
Ci riferiamo infatti al trentesimo anniversario delle stragi di Firenze e Milano.
Dice Mattarella: “Gravissimi attentati, di matrice terroristico-mafiosa, di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano". E dopo aver elencato le dieci vittime di allora conclude: “Stragi ancora in cerca di verità e giustizia”.
Quindi, ci par di capire, è giusto continuare a scavare.
Continuare a cercare.
Continuare a pretendere di svelare ciò che è rimasto nascosto, occulto, segreto per tre decenni.
Per altro, lo ricordiamo, sono state migliaia le vittime italiane per mano di mafia, per mano di mafie; a fronte delle 400 del terrorismo politico.
Sacrosanto ci appare dunque il rilevo che, anche in questo caso, siamo in presenza di stragi che restano ancora senza “verità e giustizia”.
Come potevamo pensare che un simile ragionamento fosse accolto con applausi a scena aperta da parte di buona parte del mondo politico di oggi?
E nelle stesse ore in cui, per la presidenza della commissione parlamentare antimafia che verrà, e che dovrebbe essere - se non sbagliamo i conti - la numero 19, circola il nome di una parlamentare che andava, e va a braccetto, proprio con gli uomini di uno di quei terrorismi che hanno insanguinato l’Italia.
Ci sembra già un miracolo che, di fronte alle parole di Sergio Mattarella che ha tirato in ballo anche uomini di una parte dello Stato, non abbia fatto sentire la sua voce “il club della boiata pazzesca”.
Eppure per il club non doveva essere tanto complicato dire che, quando si cercano mandanti e complicità istituzionali, sempre di “boiata pazzesca” si tratta.

Foto © Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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