Esisterebbe una foto, risalente a tanti anni fa, che raffigurerebbe, in inconsueta e clamorosa compagnia, Silvio Berlusconi, Giuseppe Graviano, lo stragista di Cosa Nostra, e Francesco Delfino, generale dei carabinieri, ormai passato a miglior vita.
Se ne fa un gran parlare in questi giorni. Un gran parlare, alla luce della vicenda che ha visto come protagonista principale il collega Massimo Giletti, che non sta passando un bel quarto d’ora; la decisione dell’editore de La7, Urbano Cairo, di chiudere anticipatamente, rispetto al contratto, la trasmissione “Non è l’Arena”; il ruolo, poco chiaro, di tal Salvatore Baiardo, che da mesi e mesi dice e non dice, allude e sottintende, ammicca e farfuglia, profetizza e sminuisce la cattura di Matteo Messina Denaro, indossando i panni di un Nostradamus che la sa lunga, ma la sa lunga davvero molto tempo prima che i fatti accadano.
La tavola del clamore mediatico è così apparecchiata. Portate tanto succulente, quanto indigeste. Cerchiamo di capire.
Le certezze sull’ argomento sono poche.
Siamo in presenza di un guazzabuglio apparentemente inestricabile. Un guazzabuglio, però, certamente maleodorante. Ed è un guazzabuglio, purtroppo, che non viene scalfito dai primi tre mesi di indagine successiva alla cattura del Messina Denaro.
Per ora, almeno per ora, non è saltata fuori l’agenda rossa di Paolo Borsellino. Non sono saltate fuori le carte del covo di Totò Riina, mai perquisito, dai carabinieri del ROS dell’epoca.
Né è emerso un brandello, quantomeno un brandello, sulle stragi del 1992-1994. Solo una interminabile schierata di amanti, fidanzate, dame di compagnia che per anni avrebbero accudito, assistito, curato e coccolato il boss. Ultima, in ordine di tempo, tale Laura Bonafede. E c’è anche una fila indiana di covi, uno accanto all’altro.
Qui dobbiamo aprire una partentesi.
Perché meritano di essere riportate, per la loro intrinseca chiarezza, le parole del giudice Alfredo Montalto che, nell’ordinanza di arresto proprio di Laura Bonafede, tra l’altro scrive che le indagini seguite alla cattura di Messina Denaro: "Mettono in luce l’incredibile e inspiegabile insuccesso di anni e anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa fra Castelvetrano e Campobello di Mazzara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazione e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una “normale” esistenza senza neppure nascondersi troppo; ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)".
Conclude Montalto: “Come ciò sia potuto accadere appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze”.
Che peso hanno avuto sui giornali o nelle tv queste parole? Quali interrogativi hanno sollevato fra gli stessi addetti ai lavori? Il bel mondo di una certa avvocatura garantista che conclusioni ne ha tratto?
E i giornali del “Ciccio spara, spara”, specializzati in vicende di mafia? Niente. Niente di niente. Neanche un editorialino. Una parolina. Magari, un colpo e via. Il loro silenzio questa volta brilla magnificamente. Proprio nulla.
Le parole di Montalto sono state ignorate, scivolate via come acqua chiara. A noi, invece, l’acqua indicata da Montalto, sembra assai torbida.
Attenzione. Questa volta non c’entra Salvatore Baiardo, il Nostradamus di cui sopra; c’entrano, invece, i conti che non tornano.
E il gip si è limitato, con la sua diagnosi, a fare il classico due più due. Con un risultato finale che la dice assai lunga su questa vicenda sconcertante.
Sembrerebbe, a prima vista, che ci siamo allontanati dal problema principale. Tutt’altro.
Esiste o non esiste, in conclusione, la foto che ritrae Berlusconi Graviano e Delfino? Noi non lo sappiamo.
Anni fa, Andrea Camilleri, scrisse un saggio folgorante, intitolato la “Bolla di componenda”.
Lo scrittore di Porto Empedocle si riferiva a un documento sul quale si favoleggiava assai in Sicilia sin dall‘ 800. In base a questa “carta”, la Chiesa, dietro compenso in denaro, concedeva ai fedeli indulgenze preventive, persino per eventuali reati di sangue. Tutti ne parlavano, tutti lo sapevano. Tutto, ovviamente, avveniva all’oscuro, indulgenze “al nero”, potremmo dire con il senno di oggi.
Camilleri avviò, persino negli archivi ecclesiastici, una ricerca certosina della bolla che sarebbe stata prova definitiva a conferma di una leggenda ricca di un fondamento indimostrabile.
E quando fu convinto di essere a un passo dalla scoperta della “bolla”, scoprì che da un certo volume, particolarmente indiziato, seppellito in un archivio, proprio alcune pagine corrispondenti al cuore della sua ricerca, erano state misteriosamente, ma assai opportunamente, strappate.
Sapete come finisce la storia?
Con queste parole di Camilleri: "Quando il disegno di questo scritto mi divenne chiaro, dissi a Leonardo Sciascia che avrei voluto scrivere qualcosa sulla bolla di componenda. Non ne sapeva niente, conosceva solo la componenda, quella laica. Allora gli spiegai di cosa si trattava e lo pregai di aiutarmi bibliograficamente" … Fece una pausa, mi taliò (mi guardò, ndr). Sorrise del suo sorriso.
"Tu una carta così non la troverai mai" mi disse.
Conclude amaramente Camilleri: “E infatti non l’ho trovata”.
Come non sarà mai trovata, vuoi perché non esiste, vuoi perché è custodita in mani sicure, la foto Berlusconi-Graviano-Delfino, che tanta eccitazione e ingordigia mediatica ha sollevato in questi giorni.
Ma che l’agenda rossa di Paolo Borsellino ci sia stata, sino al giorno del cratere di via D’Amelio, sicuro è.
Dove sia finita dopo, vallo a sapere. Insomma: noi investiremmo di più su questa ricerca. E su tutti i segreti dei quali è depositario il Matteo Messina Denaro.
Se non altro per non fare la fine degli allocchi, mediaticamente s’intende.
Foto © Paolo Bassani
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La rubrica di Saverio Lodato
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