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Può un processo giudiziario restituire la profonda verità su una strage di Stato, avvenuta più di trent’anni fa, quando lo stesso Stato, in questi decenni, ha fatto di tutto perché quelle verità restassero nascoste, inaccessibili, segrete?
Non può.
E’ della strage di via D’Amelio che stiamo parlando.
Dell’ennesimo troncone dibattimentale che si è appena concluso a Caltanissetta senza colpevoli in carne e ossa, ma, questo sì, con dovizia di giudizi su aspetti specifici che altro non fanno se non certificare quanto dicevamo qualche riga fa: il “non può” di un Tribunale, la sua incolpevole incapacità a scardinare un perverso sistema di complicità retto da un teorema che sembra venire dalla notte dei tempi: Stato non mangia Stato.
Sottoscriviamo - e che si potrebbe fare di diverso? - tutta l’amarezza espressa da Salvatore Borsellino, nella sua intervista all’AdnKronos, che qui mettiamo a disposizione dei lettori.
Il Tribunale di Caltanissetta dice che il questore Arnaldo La Barbera, che costruì in laboratorio il finto pentito, Vincenzo Scarantino, agì per ambizione personale, di futile carriera, non per Intelligenza con la mafia.
Sarà stato così, ma forse occorreva anche capire se, per caso, La Barbera si mosse per intelligenza con un certo tipo di Stato, più che con la mafia, che a quanto pare fu indotta da altri ad improvvisare quella strage.


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D’altra parte è lo stesso Tribunale a osservare ripetutamente che ci furono scenari istituzionali che si mossero e entrarono in azione in maniera ben più consistente di Cosa Nostra.
Ma trent’anni dopo, restano gli scenari, gli ambienti, gli interessi organizzati, non gli imputati con nome e un cognome. Questo è il vuoto investigativo spaventoso che resta trent’anni dopo.
Il Tribunale spiega poi che l’Agenda Rossa fu la chiave di tutto.
Che quella scatola nera venne trafugata in via D’Amelio, e non certo da uomini di mafia. Da chi? Non si sa. O meglio: da uomini delle istituzioni che si muovevano beatamente tranquilli fra le rovine di quel cratere infernale.
I tre poliziotti portati a processo per il cosiddetto depistaggio sono stati prescritti o assolti.
Tanti comportamenti individuali sono stati stigmatizzati dai giudici. Troppi non ricordo. Tante versioni contraddittorie.
In una sfilata imbarazzante di rappresentanti delle istituzioni che, a vario titolo, di divise ne indossavano parecchie.
In altre parole, concludendo.
Il più grande Depistaggio che si sia verificato nella storia della Repubblica Italiana ha retto a meraviglia.
Stato non mangia Stato.

Foto © Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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