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“E’ morto Gianni Minà, viva Gianni Minà. Ma quanto era bravo Gianni Minà".
Ma come aveva fatto a intervistare tanti grandi della terra? Ma come faceva a riunire attorno a un tavolo, a base di matriciana o cacio e pepe, Cassius Clay e Robert De Niro e Garcia Marquez e Sergio Leone
Quanto era grande e immenso, irripetibile e leggero il suo giornalismo, intriso della proverbiale bonomia degli abitanti del paese siciliano di Castelbuono sulle Madonie, di cui era originario.
E perché Fidel Castro aveva accettato di rispondere proprio alle sue 100 domande sulla rivoluzione cubana per sedici ore consecutive? Non c’erano al mondo giornalisti “politici” che avrebbero saputo fare meglio di lui? Più “politicamente corretti”? Magari un po’ meno “di sinistra”?
E che avevano in comune Massimo Troisi o Pietro Mennea, che gli volevano bene e stavano al suo gioco, quando in televisione e in carta stampata, le teste pensanti, come Gianni Minà, avevano ancora libero accesso?
E quanto all’America Latina, la sua era vera specializzazione.
Con libri scritti sull’argomento e piccole riviste e case editrici fondate all’insegna della diffusione delle culture del Sud del mondo, dei più deboli, i disgraziati.
Gli scrittori e i cantanti di quei paesi con lui mantenevano fitti rapporti da altri capi del mondo; i Sepulveda, i Soriano, i Toquinho, tutti, per altro, “ambasciatori” all’estero di dittature militari impresentabili. E non a caso, fu proprio Minà, nel mondiale argentino del 1978, il giornalista capace di farsi cacciare per avere osato chiedere ai militari del regime che fine stessero facendo i desaparecidos.
E ancora. Mina, la cantante inarrivabile, introvabile, incorteggiabile, che però a lui non disse no quando si trattò di scrivere la prefazione per un suo libro.
A non dire di Maradona, e di quel suo rapporto speciale, coltivato e rivendicato per anni, proprio con Minà. E persino nella leggenda di Pelé, se avrete pazienza, troverete traccia di un’intervista a sua firma, quando iniziò a muovere i primi passi come cronista sportivo, prima di allargare definitivamente il suo sguardo sul mondo intero.
Gianni Minà era “troppo”.
“Troppo” aveva fatto e scritto e conosciuto, intervistato e filmato, per non stare sulle scatole al giornalismo Made in Italy, cartaceo e televisivo, al quale, per forza di cose, faceva ombra.
Quanto è grande ora Minà da morto. Quante gliene fecero, in Rai, quando era vivo. Quanto lo ostacolarono nel suo lavoro. Quanto lo tennero in castigo.
Tante le autorevoli testimonianze al riguardo, i fatti: per anni i radar televisivi e culturali che contano in Italia non erano più capaci di rilevarlo.
E questo si scopre ora, perché - chissà perché -, adesso si può dire.
In Italia, quando i giganti muoiono, per loro si riesce sempre a confezionare una bara su misura. Da vivi, il “troppo” che rappresentano risulta insopportabile. 

Foto © Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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