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Sulle questioni della giustizia, la premier Giorgia Meloni è pasticciona, o quantomeno è mal consigliata.
Vediamo qualche antefatto che ci ha spinto a questa conclusione.
L’altra sera, durante il TG, il senatore Maurizio Gasparri, di Forza Italia, riflette ad alta voce, mentre gli italiani presumibilmente stanno cenando: “La magistratura è il cancro di questo paese. Per undici anni è stata negata la democrazia”.
Ormai Gasparri ha fatto, ha detto.
Gasparri ha festeggiato così l’ennesima assoluzione del cavaliere Silvio Berlusconi in un’altra tranche del processo che passerà alla storia come il processo delle olgettine.
E Gasparri, ora felice come una Pasqua, vorrebbe persino una commissione di inchiesta per mettere sotto torchio il “cancro”, più semplicemente i magistrati che gli vanno di traverso. Ma questo è secondario, perché, come diceva la buonanima di Giulio Andreotti, in Italia, quando non si vuole venire a capo di una questione, si crea una commissione d’inchiesta.
Certo, però, che definire la magistratura il “cancro” d’Italia è frase per palati forti, definizione per orecchie svergognate.
Pensate, per un attimo, se un magistrato in servizio, preferibilmente un pubblico ministero politicizzato di quelli che sapete voi, osasse dire che “il Senato è il cancro del sistema parlamentare italiano” o “la metastasi” che sta avvelenando le nostre istituzioni e la nostra democrazia. Apriti cielo.
Che paginate indignate sulla grande stampa.
Che minacce di provvedimenti “ad personam”, contro i giudici che vogliono far politica.
Che fior fiore di prese di posizioni da parte dei partiti, tutti insieme, appassionatamente, contro le toghe della bestemmia.
Lo dice invece Gasparri e non succede nulla.
Neanche un metaforico guinzaglio? Neanche una metaforica museruola?
All’anima della “libertà d’opinione” dei parlamentari tutelata, a suo tempo, dai padri costituenti. Non riusciamo a capacitarci.
Per il momento, però, andiamo avanti.
Restando rigorosamente in argomento.
Alla vigilia della sentenza di assoluzione di Berlusconi, la presidenza del consiglio ha ritirato la sua costituzione di parte civile.
Eh sì.
Mossa elegante di chi vuole la pace, dopo gli anni della guerra.


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Molti giornali sembrano apprezzare il bel “fioretto” di Giorgia Meloni, e lo mettono in relazione con la volontà di “Giorgia” di mettere una pietra sul casino interplanetario provocato da Silvio Berlusconi su Ucraina, Putin e Zelensky.
Che deve fare la povera “Giorgia” pur di esaltare a dismisura l’arte del compromesso che, come è noto, è l’abbiccì della politica?
Tanto è vero che qualche giorno dopo, visto che a Bari ci sta un altro processo in dirittura di sentenza - sempre di olgettine stiamo parlando -, si mormora che anche questa volta la presidenza del consiglio rinuncerà a costituirsi parte civile. Un “fioretto” tira l’altro, verrebbe da dire.
Ma evidentemente è difficile comperare Berlusconi, ormai in via di assoluzione con annessa beatificazione. Ce la fa benissimo da solo.
Domanda che sorge spontanea: non sarebbe interessante se qualche grande professore di diritto penale ci spiegasse se è nel novero delle cose possibili (in materia di diritto, s’intende) che un governo usi la costituzione di parte civile contro qualcuno, come un “tesoretto” personale da spendere alla bisogna per tirare politicamente a campare?
Converrete che la domanda non è peregrina.
E restando sempre rigorosamente in argomento.
La Procura di Roma ha messo sotto inchiesta il sottosegretario Delmastro, perché sospettato di aver passato al collega Donzelli le carte carcerarie relative alla vicenda Cospito, con annesse ‘Ndrangheta e mafia, e visita delegazione-PD, diventata, quest’ultima, “la visita della discordia”.
Il bello è - si fa per dire - che quella relazione non andava assolutamente “divulgata”, cioè resa di dominio pubblico, questo dicono i procuratori romani: con buona pace del ministro Carlo Nordio, che in Senato aveva ciurlato nel manico affermando che, poiché su quelle carte non era stato apposto il “segreto di Stato”, i due Gian Burrasca di Fratelli d’Italia non avevano alcun motivo di dimettersi.
Certo è bizzarro che un ministro della giustizia, ora che in tutta evidenza la Procura della Capitale, facendo ricorso a tutt’altro vocabolario giuridico, ben diverso dal suo, sull’argomento lo ha categoriamente smentito, continui a dormire sonni beati.
Per ora resta il fatto che, fatta forte dalle parole di Nordio, la Meloni ha ribadito che non vede gli estremi per le dimissioni del duo Delmastro-Donzelli. Si vedrà più avanti.
Ma non è ancora sgonfiato il caso, ed ecco che è costretta a dimettersi, notizia di questa ore, Augusta Montaruli, sottosegretaria all’Università, di Fratelli d’Italia - e amica personale di “Giorgia”, giurano i soliti ben informati - perché condannata per peculato a un anno e sei mesi, dalla Cassazione.
Tutto bene quel che finisce bene, direbbero i soliti colpevolisti.
Ma come dimenticare che appena qualche settimana fa l’avvocato Giuseppe Valentino, anche lui Fratelli d’Italia, stava per diventare, proprio su designazione della Meloni, il vice presidente del nuovo consiglio superiore della magistratura?
E’ emerso che, essendo coinvolto in vecchie indagini, mai chiuse, che hanno a che vedere con la 'Ndrangheta, forse era il caso che facesse un passo indietro.
Insomma, anche un vice presidente Csm sotto inchiesta non sarebbe stato il massimo.
Basta, fermiamoci qui.
Solo per dire che la politica italiana è destinata a fare i conti con la Maledizione Giustizia.
Devono farli il governo e il suo premier Giorgia Meloni.
Devono farli Enrico Letta e Stefano Bonaccini, del PD, che si sono recentemente convertiti sulla via di Damasco del “ma quanto è brava la Meloni”.
Cari Letta e Bonaccini, quando parlate del PD che verrà, fateci piuttosto capire che idee avrà, questo PD, sul futuro della giustizia italiana. E, già che ci siamo, anche sull’attuale ministro Carlo Nordio.
Lasciate che Giorgia Meloni faccia il suo mestiere, come più le aggrada. Non ha bisogno degli incoraggiamenti dell’opposizione. Che, di mestiere, dovrebbe fare il suo.

Foto © Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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