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L’intervista del giornalista e scrittore ad Atlantide sull’arresto di “Diabolik”: “E’ parte in causa nella strage Borsellino”


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Sono trascorsi solo pochi giorni dall’arresto del super latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Ancora non è certo se l’ex primula rossa parlerà con i magistrati, anche se già fonti di polizia hanno fanno trapelare che il boss intenda percorrere la via del silenzio. O almeno per ora. Ciò nonostante c’è chi teme questa forbice di incertezza. C’è chi spera vivamente che il boss si rinchiuda in un silenzio tombale come altri suoi ex sodali e che non confessi niente ai pm che lo interrogheranno. A sostenerlo è Saverio Lodato, giornalista e scrittore, penna storica del quotidiano L’Unità, intervistato ieri sera da Andrea Purgatori nello speciale di Atlantide intitolato “I segreti dell’ultimo padrino”. Una puntata ricca di approfondimenti - con ospiti importanti come i magistrati Nino Di Matteo, Luca Tescaroli e Gianfranco Donadio - in cui si è parlato della cattura di Messina Denaro e, appunto, di quei segreti inconfessabili di cui è in possesso da oltre trent’anni. Lodato ha fatto una disamina di questi segreti a partire dalla “famosa” missione romana organizzata dalla Cupola per eliminare Giovanni Falcone nella Capitale, dove era semplice assassinarlo perché senza scorta. “Messina Denaro aveva un rango militare molto forte perché era stato cresciuto da Totò Riina che lo ha tenuto sulle ginocchia”, ha spiegato Lodato. Era suo “figlioccio. “Era diventato un operativo di Riina. A Roma venne mandato per fare i sopralluoghi per ammazzare Falcone”. Insieme a lui c’era un commando di altri killer ma tutti vennero poi fatti rientrare a Palermo da Riina stesso perché si doveva eliminare Falcone con altre modalità più eclatanti, quelle che poi sono state poste in essere. Secondo Saverio Lodato, Messina Denaro potrebbe spiegare le ragioni di quell’inaspettato e improvviso cambio di programma. E potrebbe spiegare anche alcuni aspetti riguardanti la strage di via d’Amelio in cui venne ammazzato Paolo Borsellino e la sua scorta. “Matteo Messina Denaro è parte in causa nella strage Borsellino” e “potrebbe dire perché Riina decise di accelerare quella strage”. E magari anche che fine ha fatto l’agenda rossa del magistrato, prelevata dalla sua auto in fiamme quel tragico 19 luglio.


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Saverio Lodato ha detto ieri di aver incontrato Paolo Borsellino in quei 57 concitati giorni fra la morte di Falcone e il 19 luglio. “Lo incontrai il 29 giugno per caso in aereo, andavamo a Roma e mi sedetti accanto a lui. Trovai un Borsellino per niente terrorizzato ma molto motivato dal punto di vista investigativo e quando gli chiesi di anticiparmi qualcosa in più sulla strage di Capaci mi disse ‘abbia pazienza a settembre ne avrete di scrivere delle storie di cui mi sto occupando’. Erano le storie che erano contenute nell’agenda rossa”. Sparita l’agenda e sparita fu anche la possibilità per Borsellino di testimoniare a Caltanissetta, come voleva, quanto aveva scoperto sulla morte del collega e amico. Messina Denaro potrebbe dire se è vero che quel documento prezioso è in suo possesso, come sostiene Salvatore Baiardo. E potrebbe spiegare cos’era contenuto nel covo di via Bernini, dove si nascondeva il Capo dei Capi, che dopo l’arresto di questi “per venti giorni non venne mai perquisito”. “C’erano carte che non sono mai state trovate”, ha affermato Lodato. “L’archivio di Cosa Nostra” presente in quel villino ha subito un “passaggio di consegne”, ha spiegato. “Prima è stato affidato a Bernardo Provenzano, che rimarrà in immersione per dieci anni, e poi a Matteo Messina Denaro”. E ancora. Matteo Messina Denaro, secondo Lodato, potrebbe raccontare i segreti delle stragi del 1993 e quali furono i mandanti esterni. Del resto, ha ricordato il giornalista, “fu lui a scegliere in quelle tre città, Roma, Firenze e Milano, i luoghi evocativi dove dovevano essere fatti gli attentati”. Quelle del 1993 furono mattanze senza precedenti. “In quelle tre stragi, in cui morirono in totale 10 persone, per la prima volta la mafia andò in continente. Era la prima volta in cui la mafia non regolava conti con rappresentanti dello Stato” ma con membri della società civile, come la famiglia Nencioni e le due bimbe, Nadia e Caterina, uccise dal Fiorino imbottito di esplosivo da mani mafiose, e non solo, in via dei Georgofili.


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Trapani, la “Svizzera della mafia”
Come gli altri ospiti della trasmissione, Saverio Lodato ha rimarcato il pedigree criminale di Matteo Messina Denaro e ha contestualizzato l’importanza che ebbe per Cosa Nostra il territorio da dove veniva: Trapani. “Matteo Messina Denaro è figlio di ‘Ciccio’ Messina Denaro, capo della famiglia di Castelvetrano finché mori nel 1998 da latitante. La famiglia di Ciccio Messina Denaro, quando questi morì, lo vestì di tutto punto con un vestito molto elegante, scarpe di vernice nera e lo fecero trovare apparecchiato in un letto all’interno di una delle campagne della provincia di Trapani per dare al mondo mafioso il segnale che era morto nel suo letto e che non lo aveva soppresso lo Stato”, ha ricordato Lodato. “Ma c’è di più, e torniamo all’attualità. Tutto questo accadeva nei feudi, nelle proprietà terriere, della famiglia D’Alì, e l’onorevole D’Alì (Antonio, ndr), lo scorso dicembre, è stato condannato in maniera definitiva dalla Cassazione a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo aver passato 20 anni in cui veniva processato, assolto e archiviato. La famiglia D’Alì era proprietaria, nel trapanese, di un’intera banca, la Banca Sicula”, ha spiegato il giornalista. “La provincia di Trapani, negli anni ’70 era la provincia che aveva il maggior numero di sportelli bancari e il maggior numero di logge massoniche e che vedeva la presenza di apparati deviati dello Stato, vedasi Gladio, perché quella provincia era ‘la Svizzera della mafia’, come diceva Falcone, dove la magistratura si guardava bene dal mettere il naso. E insieme alla magistratura la polizia e i carabinieri”.


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La borghesia mafiosa e i pensatori di Palermo
Nel suo intervento, parlando di “borghesia mafiosa”, termine utilizzato spesso in questi giorni dal procuratore di Palermo a proposito della rete di favoreggiatori di Messina Denaro, Saverio Lodato ha voluto fare un’interessante parentesi. “Si parla spesso della borghesia mafiosa e noi pensiamo che con ciò si intendano esclusivamente medici, infermieri, portantini o qualche impiegato in banca. No - ha spiegato Lodato - la borghesia mafiosa è composta anche da cervelli di questo Paese: nel campo culturale, intellettuale e universitario. Prendiamo per esempio il fatto che per cinque anni Di Matteo è stato considerato da intellettuali di Palermo, e non solo, l’autore di una boiata pazzesca”, ha detto Lodato riferendosi al processo Trattativa Stato-mafia di cui Di Matteo è stato uno dei membri dell’accusa. “Questi intellettuali e storici di grido, che vanno per la maggiore, dicevano per esempio, e lo dicono tuttora, che era una leggenda metropolitana il fatto che gli americani quando sbarcarono in Sicilia nel 1943 si rivolsero alla mafia, e quindi Lucky Luciano, per avere una copertura in Sicilia proprio dagli ambienti mafiosi”. “A me è capitato in questo Paese che cita Leonardo Sciascia un giorno sì e un giorno no, di imbattermi in una frase pronunciata da Sciascia mentre dialogava con il giornalista Domenico Porzio, in cui disse: ‘Gli americani arrivarono con l’elenco dei mafiosi in tasca, i sindaci di quasi tutti i paesi furono scelti tra i mafiosi’. Questa è storia ma è anche attualità”, ha affermato il giornalista. “Questa è la borghesia mafiosa”. “E allora due sono le cose: a Palermo c’è chi respira la mafia sotto forma di puzza e chi invece la sente sotto forma di profumo”.

Stato-mafia, la sentenza d’appello e le latitanze intoccabili
E a proposito di Stato e mafia. Saverio Lodato ha recentemente scritto un libro per Chiarelettere dal titolo “Il patto sporco e il silenzio”, riedizione del libro “Il patto sporco” in cui intervistando Nino Di Matteo, racconta la trattativa tra la mafia e quei pezzi di Stato che poi magistrati coraggiosi come Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, hanno fatto condannare in primo grado. La nuova edizione contiene anche riflessioni sulla controversa sentenza d’appello del processo d’Appello che ha visto l’assoluzione di Marcello Dell’Utri e degli alti ufficiali del Ros dei Carabinieri e la condanna dei boss. Un processo sul quale, dalla prima all’ultima udienza, è piovuto un silenzio mediatico e istituzionale da brividi.
Con Di Matteo ho condiviso il tremendo isolamento che si è trovato a vivere per aver istruito, insieme ad altri magistrati di Palermo, il processo sulla Trattativa Stato-mafia. In questi 5-6 anni Di Matteo è stato isolato, tacitato e ostacolato nella sua attività personale e nella sua carriera”, ha commentato Lodato.


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Noi oggi siamo di fronte a una sentenza d’appello sul processo trattativa Stato-mafia che è paradossale, perché nell’assolvere i tre carabinieri imputati per intelligenza, diciamo, con il nemico mafioso, la corte serenamente scrive che la trattativa c’è stata eccome ma a fin di bene”, ha detto il Lodato. La trattativa aveva a che vedere in qualche modo anche con i grandi latitanti del tempo, come Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro.
Il Ros di allora decise di fare un accordo di pacificazione per non mettere mano su quell’incartamento. E successivamente di continuare a garantire la latitanza di Provenzano”. “Ecco perché si spiegano i 30 anni”, ha esclamato l’autore del libro. “Nei 30 anni noi abbiamo assistito al pagamento di questo accordo che porta alla consegna di Riina da una parte e all’impunità di Provenzano, latitante per 43 anni, per altri dieci anni, dall’altra. Questo per dire che tutto torna, tutto si ripete. Gli arresti dei latitanti sono tutti simili, sono i dettagli a fare la differenza. Perché quando vengono presi, vengono presi tutti a casa loro. Con la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino, le parti mai rese note delle memorie di Falcone, arriviamo alla conclusione che non doveva rimanere rapporto scritto del rapporto che centocinquant’anni ha visto la mafia agire come braccio armato dello Stato in base a quella definizione di Honoré de Balzac: “Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che ci viene insegnata, e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa”.
(Prima pubblicazione: 19 gennaio 2023)

Guarda la puntata integrale:
la7.it/atlantide

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La rubrica di Saverio Lodato

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