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L'intervento su La7 e su Rai Radio 1

Sono dovuti trascorrere trent’anni prima che la “Primula Rossa” di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, venisse catturato. “Oserei dire che sono troppi”, ha commentato il giornalista e scrittore Saverio Lodato intervenuto questa sera a “Ottoemezzo” di Lilli Gruber (in onda su La7) assieme alla vicedirettrice del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, il direttore di Libero Alessandro Sallusti, e il giornalista e scrittore Pino Corrias. “La latitanza di Matteo Messina Denaro è durata dieci anni in più del ventennio fascista - ha specificato Lodato -. Un’enormità di tempo in cui questo signore ha potuto agire indisturbato. Ho ascoltato la conferenza stampa di Palermo (avvenuta presso il Comando Legione Carabinieri “Sicilia” di Palermo, ndr). Ho avuto l'impressione di un resoconto che riguardava un arresto finalmente pulito, tecnicamente fondato su indagini dei Carabinieri. E le parole del procuratore De Lucia, del procuratore aggiunto Guido e del comandante del Ros Angelosanto, mi sono finalmente sembrate parole non retoriche in una giornata che, ahimè, è stata all'insegna della retorica”. Lodato non perde tempo e va dritto al dunque. Si tratta di “uno dei latitanti più giovani che vengono arrestati nel panorama che abbiamo”. “E la prospettiva di farsi vent’anni di carcere con ogni probabilità non gli giova, ma dipenderà tutto dal sapergli fare le domande giuste - ha detto Lodato -. Dovremmo avere un apparato istituzionale in grado di capire che questa è una ‘gallina dalle uova d'oro’ se si vuole chiudere definitivamente con lo sconcio della convivenza in Italia con Cosa nostra dopo un secolo e mezzo. Altrimenti tra altri dieci anni qualcuno ci dirà che c’è un altro che ha preso il suo posto, che lo stiamo cercando e tra altri vent’anni magari lo arresteremo. Quindi, grande occasione, grande giornata, se si apre una nuova stagione, ma bisogna fargli le domande giuste”. Alla domanda della Gruber su cosa sarebbe in grado di dire l’ex superlatitante, Saverio Lodato ha risposto con un lungo elenco di questioni irrisolte che rappresentano nodi cruciali della lotta alla mafia. “Matteo Messina Denaro è in grado di rispondere a tutti gli interrogativi che l’opinione pubblica si è posta in questi anni - ha specificato -. Può raccontare dove si trova l’agenda rossa di Paolo Borsellino; dove sono i documenti non trovati nel covo di Totò Riina perché non perquisito trent’anni fa quando i Carabinieri fecero irruzione; lui può raccontare dove sono finiti e perché sono stati messi in atto gli appostamenti necessari per assassinare Giovanni Falcone da lui stesso a Palermo dopo che Riina lo inviò a Roma perché l’attentato andava consumato nella Capitale salvo poi(nuovamente Riina) decidere che si dovesse fare a Palermo; potrebbe dire dove sono finiti in questi 30 anni i soldi che non sono stati trovati all’indomani degli arresti né di Totò Riina né di Bernardo Provenzano perché con molta probabilità ci si appagò del fatto che loro erano stati catturati. Matteo Messina Denaro conosce la storia delle complicità in questi 30 anni di un pezzo dello Stato italiano con la mafia ed è questa la ragione del trentennio in cui lui ha camminato indisturbato per Palermo, si è fatto visitare e operare e oggi andava a fare l’ennesima visita”.


lodato gruber 8emezzo


Le parole di Saverio Lodato, come è noto, hanno un peso molto rilevante. Per anni inviato de L’Unità a Palermo è uno dei massimi esperti di mafia in Italia. E quando afferma che dietro la latitanza di Messina Denaro vi sono “complicità dall'alto” lo dice con cognizione di causa. “Complicità dall'alto in un caso come questo vuol dire complicità di apparati statali che hanno coperto un latitante che si differenzia da tutti coloro che lo hanno preceduto. Da 40 anni mi occupo di queste cose - ha detto -. E in questi anni sono stato testimone dell'arresto di Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Nitto Santapaola, dei Lo Piccolo (padre e figlio), Pietro Aglieri... decine e decine di latitanti che avevano alle spalle anche loro decine e decine di anni di latitanza”. Loro, però, erano il braccio armato della mafia, ha aggiunto Lodato, “Totò Riina era il macellaio; Provenzano era il temporeggiatore; i Lo piccolo erano i ragionieri che tenevano la contabilità degli affari di Cosa nostra”. Matteo Messina Denaro è diverso. Con lui “siamo difronte ad una qualità superiore, difronte a un rappresentante delle stragi, non solo Capaci e via d’Amelio, ma anche Roma, Milano, Firenze e non dimentichiamo il fallito attentato allo stadio Olimpico quando nel ’94 rischiarono di saltare per aria 200 Carabinieri durante la partita Roma-Udinese”. “Matteo Messina Denaro è stato la ‘longa manus’ di tutto questo - ha detto Lodato -. Oggi è una grandissima giornata che non va sprecata. Può essere l’inizio di una grandissima stagione ma per assistere a questa stagione dovremmo finalmente trovarci di fronte a uno Stato non che ‘sconfiggerà la mafia’, ma che dimostrerà almeno di volerla sconfiggere facendo la sua parte e di non proteggerla più come Matteo Messina Denaro avrà modo di fare, se deciderà di parlare, spiegando abbondantemente e con dovizia di particolari”. Ultimo, ma non per importanza, Messina Denaro “potrebbe dire dove sono stati nascosti i 200kg di tritolo inviati in Sicilia - che sono in Sicilia anche se mai trovati - per far saltare per aria il giudice Nino Di Matteo (consigliere togato al Csm con cui Lodato ha scritto “Il patto sporco e il silenzio”, ndr) che non a caso è uno dei giudici più scortati d’Italia, proprio perché gli apparati istituzionali sanno che quelle minacce di attentato sono reali al punto che lo stesso ex latitante se ne fece latore alle famiglie palermitane per conto di Riina che diceva che a Di Matteo andava fatta ‘la fine del tonno’”.


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In conclusione, Lodato dalla Gruber ha ricordato come se da un lato “Giorgia Meloni ha ribadito, così come ha fatto il procuratore capo Maurizio De Lucia, l’importanza delle intercettazioni telefoniche”, è anche vero che “una settimana fa il ministro della giustizia Carlo Nordio aveva detto - forse sbrigativamente - che le intercettazioni nella lotta alla mafia non servono a niente perché i mafiosi non parlano al telefono. Ora sappiamo che è esattamente il contrario”. Parole, quelle di Nordio, che dinnanzi all’arresto dell’ormai ex superlatitante lasciano perplessi. “Mi auguro - ha concluso Lodato a “Ottoemezzo” - che la giornata di oggi segni il ‘de profundis’ di una riforma della giustizia che è stata votata recentemente all’unanimità (o quasi) dal Parlamento - mi riferisco alla riforma a firma Marta Cartabia - perché sono troppi gli aspetti che hanno determinato una reazione forte, preoccupata e perplessa di interi settori della magistratura e ormai anche della stessa avvocatura italiana”.
Nel pomeriggio, invece, intervenendo a “Menabò”, programma su Rai Radio 1 condotto da Massimo Cecchini e Francesca Malaguti, Lodato ha suggerito che sarebbe “interessante sapere se Matteo Messina Denaro ci racconterà che Paolo Borsellino fu ucciso proprio perché si opponeva alla trattativa Stato-mafia, quando, negli ultimi giorni della sua vita, ne venne a conoscenza”. Aggiungendo anche che solo se lui collaborerà “questo sarà un arresto davvero significativo. Il lavoro comincia ora. Se la storia si chiude qui sarà l’ennesimo latitante arrestato, al termine di 30 anni di latitanza, che non ci racconterà le complicità”.

Riguarda la puntata integrale: la7.it/otto-e-mezzo




Lodato a Sky TG24: "Lo Stato non ha più alibi"


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Si troveranno dei documenti o materiale particolarmente rilevante nel covo a Campobello di Mazara? "A occhio sarei portato a dubitarne perché troppi cambi di covo avrà fatto il signor. Matteo Messina Denaro in questi anni per essere così sprovveduto, ma mai porre limiti alla provvidenza. Noi però dobbiamo partire dal fatto che tutto quello che non si trova, non si trova perché non esiste, ma perché è nascosto bene. Quindi se lo Stato vuole cogliere l'occasione, per fare sino in fondo la lotta alla mafia questa è la sua occasione. Oggi lo Stato non ha più alibi. Ieri abbiamo festeggiato l'arresto fatto dai carabinieri del Ros, dalla Procura di Palermo, diretta dal neo procuratore Maurizio De Lucia. Il lavoro comincia ora. Gli italiani hanno il diritto di conoscere le risposte agli interrogativi che sono stati innanzitutto gli interrogativi delle vittime di mafia che queste cose le hanno raccontate". Così ha detto lo scrittore e giornalista Saverio Lodato oggi a Skytg 24.

"Questa - ha detto - è un'occasione che non deve essere sprecata. Matteo Messina Denaro può essere destinato ad essere l'ennesima statua nella galleria del museo delle cere dei latitanti di mafia. Un giorno arrestati, un giorno mandati al 41 bis poi passati a miglior vita. Può diventare invece il simbolo della riscossa dello Stato".

"In questo momento lo Stato - ha ribadito - deve garantire a Matteo Messina Denaro le migliori condizioni sanitarie, lo deve coccolare, lo deve tenere in vita, lo deve curare, deve partire dal principio che lui è un archivio vivente per raccontare cos'è accaduto in questi trent'anni di scandalo di trattativa tra lo Stato e la mafia".

"Noi veniamo da un precedente che purtroppo è un brutto precedente - ha continuato - Ed è la cattiva copia dell'arresto avvenuto ieri di Matteo Messina Denaro vale a dire la cattura di Totò Riina. Totò Riina conservava nel suo appartamento una cassaforte, a detta degli stessi mafiosi, quelli che si sono pentiti, ma anche quelli che non si sono pentiti ma sono stati intercettati, una grande mole di documenti di ogni tipo che aveva a che vedere proprio con l'archivio di Cosa Nostra. Come gli italiani sanno quel covo non venne mai ripulito dalle forze dell'ordine, è storia vecchia. È inutile tornarci, è inutile recriminare". Ma "quei documenti passarono di mano. Passarono di mano prima a Bernardo Provenzano, che per altri dieci anni venne lasciato indisturbato dopo la cattura di Riina a Palermo, anche lui muovendosi indisturbato a Palermo, poi passarono a Matteo Messina Denaro". "Quei documenti esistono - ha ribadito - come esiste l'agenda rossa di Paolo Borsellino. Quindi esistono i documenti del covo di Riina. Non sappiamo dove siano finiti i documenti dell'archivio. Ma torniamo indietro di quarant'anni al 1982, i documenti del generale Carlo Albero dalla Chiesa che vennero fatti sparire il giorno della sua esecuzione dalla cassaforte privata della sua camera da letto nella sua residenza prefettizia di Palermo c'è un filone che viene da lontano, da molto lontano in cui noi potremo trovare la spiegazione di tanti misteri".


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"Non dimentichiamo - ha aggiunto Lodato - che la latitanza di Matteo Messina Denaro è durata trent'anni. Quella di Totò Riina è durata venticinque anni. E quella di Bernardo Provenzano è durata quarantacinque anni. Oserei dire con una metafora calcistica che il 'pallone d'oro' finora indiscusso della latitanza lo detiene Bernardo Provenzano.

Matteo Messina Denaro, ha precisato Lodato, "ha una caratteristica tutta sua. Pur avendo preso parte attiva e fondamentale alle stragi del 1992, a Capaci e via d'Amelio dove furono assassinati Giovanni Falcone, sua moglie, Paolo Borsellino e una decina tra uomini delle scorte, le stragi di Milano, Roma e Firenze è stato ed è il simbolo della trattativa tra lo Stato e la mafia.

Quella che ha consentito e che consente alla mafia ancora oggi di essere viva e vegeta. Sia chiaro e lo possiamo dire oggi, ventiquattro ore dopo il legittimo giusto e sacrosanto entusiasmo dell'opinione pubblica e dell'apparato investigativo di fronte alla cattura, anche se fuori tempo massimo perché trent'anni rimangono trent'anni, di un latitante".

L’allora capo di Cosa Nostra “fu trovato in un casolare alla periferia di Corleone, paese nel quale era nato, dove viveva una vita molto austera quasi monacale a base di formaggio, ricotta e cicoria, senza detenere armi, senza detenere soldi in contanti perché così vuole la ritualità dei capi mafia quando vengono arrestati. E il tratto comune di tutti i latitanti di mafia - di capi mafia non di piccoli pesci dell'organizzazione - è di essere stati arrestati a Palermo".

Non dimentichiamo che "la mafia è un fenomeno che in Italia vive e vegeta da oltre 150 anni. Io credo che in questa data, in questi numeri, stia la spiegazione di latitanze così lunghe, così apparentemente inarrestabili, per personaggi che poi invece si scopre non si siano mai mossi da Palermo".
 
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La rubrica di Saverio Lodato

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