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Non occorrevano raffinate lauree in politologia per capire in che direzione stesse spirando il vento; che l’elettorato di sinistra sarebbe rimasto tramortito dalla vacuità delle parole d’ordine elettorali; oltraggiato, quasi, dalla rosa di candidature congegnate per soddisfare le istanze fameliche di vecchi capi bastone che in parlamento sono nati e in parlamento pretendono di morire; e, come non bastasse, per risolvere casi personali e familiari, riducendo in tal modo la “ditta” (che già non è un bel parlare) a uno “spaccio” privo di licenza, che vende sottobanco merce avariata.
Ora che a sinistra i buoi sono davvero scappati, non sono pochi gli osservatori che si stanno esercitando nell’elencare le cause del disastro. Con dovizia di particolari, con tanto sentimento, sino a ieri insospettabile, per la causa comune del “mondo del lavoro” e del “sol dell’avvenire”. E di tali analisti lungimiranti ne troverete tantissimi in queste ore sulle pagine di Repubblica, ma anche sul Corriere della Sera ma anche sulle pagine eccetera eccetera…
Poveretti, verrebbe da dire.
Sino a ieri sparavano a palle incatenate contro Giuseppe Conte. Contro il “camaleonte”. Contro l’uomo della “pochette”. Contro il trasformista che si fece Masaniello. Contro “il premier di destra e di sinistra”. Contro il “populista, sovranista e infine progressista”. Contro l’uomo “che ha pugnalato Draghi”.
Erano gli stessi, ben inteso, che poco tempo prima avevano fatto assurgere Luigi Di Maio a figura di “grande statista”, non appena lui aveva sovrapposto la sua ombra atlantista alla postura, ben più bronzea, atlantisticamente parlando, di Mario Draghi. Ora questa stessa identica compagnia dei mattacchioni tira in ballo il povero Enrico Letta, visto che con Conte è andata loro maluccio.
Ma non possono dire nemmeno: “Io l’avevo detto”. Possono solo dire: “Io l’avrei potuto dire, ma ho scelto di non dirlo”. O, se si preferisce: “Dicevo cose che non pensavo, e pensavo cose che non dicevo”.
Tanto posseduti dal demone dei murales contro Conte, si erano persino dimenticati, i poveretti, di confezionare qualche acquarello ad archivi futuri su quello che in campagna elettorale stava combinando il PD. Fermiamoci qui.
Adesso è già partita la nuova puntata del tormentone al quale gli italiani assistono da alcuni decenni: il PD, prima o poi, andrà a congresso; Letta si ritirerà, ma per ora traghetterà; il PD ha necessità di essere rifondato; e via via ricostruendo.
Anticipiamo subito che, per quanto ci riguarda, questo PD non andrà da nessuna parte. E lo diciamo per il modo in cui sono trascorse le prime settantadue ore del post risultato elettorale.
Enrico Letta aveva appena finito di dire che decideva di ritirarsi da segretario, che già partivano le autocandidature, degne di un reality da “uomini e donne”, di piccole, ma davvero piccole figure che non poco hanno contribuito al disastro della fuga dei buoi.
Purtroppo prevale la convinzione che, da qui al congresso, il gruppo dirigente del PD dovrà ancora una volta ammorbare gli italiani con le sue beghe interne.
Proviamo invece a dire ora cosa dovrebbe fare il PD, per non ritrovarci poi nella compagnia degli analisti del “giorno dopo” di cui sopra. Insomma, ci piacerebbe che anche per il PD, il tempo in vista del congresso andrebbe almeno speso in un esercizio provvisorio di una qualche utilità.


la linea della palma 820

1) Non occorre il nome di un nuovo segretario per dire sin da ora che il nuovo PD si batterà, nel nuovo Parlamento, per cancellare per sempre l’attuale legge elettorale.

2) Non occorre il nome di un nuovo segretario per copiare, letteralmente “copiare”, dai 5 Stelle, il principio che dopo due legislature il parlamentare PD sa che anche lui dovrà tornarsene a casa.

3) Non occorre il nome di un nuovo segretario per stabilire il criterio che il “familismo” - a favore di mogli, mariti, e figli, o fidanzate e fidanzati - sarà bandito per sempre al momento della compilazione delle liste. E se ciò dovesse comportare la perdita di qualche grande “risorsa della repubblica”, il PD saprà farsene una ragione.

4) Non occorre il nome di un nuovo segretario per affermare sin da ora - come già stanno facendo i 5 Stelle - che il “reddito di cittadinanza” non si tocca. Almeno sin quando forme di lavoro, qualificate e remunerative, non lo renderanno davvero obsoleto.

5) Non occorre il nome di un nuovo segretario perché il PD faccia sapere che Mario Draghi, per lui, è stato un ottimo amico, ma è tempo che ognuno vada per la sua strada.

6) Non occorre il nome di un nuovo segretario perché il PD faccia sapere ai Renzi e ai Calenda che, essendo ormai grande e vaccinato, è capacissimo di sbagliare da solo.

7) Non occorre il nome di un nuovo segretario per ridiscutere, da cima a fondo, quella riforma della giustizia chiamata Cartabia che forse è l’unico lascito, finito e vestito, del governo Draghi. Riforma che certi tromboni PD, addetti al ramo, avevano accolto a braccia aperte.

8) Non occorre il nome di un nuovo segretario per tornare a pronunciare la parola “mafia” e la necessità di combatterla. O per tornare a parlare della necessità di assicurare alla giustizia, trent’anni dopo le stragi, Matteo Messina Denaro.

9) Ci vorrà invece, eccome se ci vorrà, un segretario nuovo del PD per discutere di guerra e pace e direzione delle misure economiche da perseguire nel paese, se il PD vorrà finalmente essere alternativo a questa destra, a questo centro destra, al governo che si sta per delineare. Di questo parleremo un’altra volta. Per ora ci accontenteremo del nostro piccolo elenco e del silenzio di chi è pronto a prendere il posto di Enrico Letta. Ma è un programma talmente vasto, il nostro, che ci porta a dire che non se ne farà niente. Sia chiaro: saremmo contenti di sbagliare, nel nostro ragionamento. Non saremmo contenti di avere ragione.

Foto © Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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