La lotta alla mafia, e questo lo hanno già sottolineato in molti, è la Cenerentola della politica italiana.
C’è chi la teme, come intralcio ai propri affari.
C’è chi la sottovaluta, nella convinzione, erratissima, che faccia perdere voti.
C’è chi, assai più semplicemente, avendo i mafiosi, più o meno camuffati, al proprio interno, tutto può concedersi tranne questo lusso.
Il risultato di questi fattori è che la parolina “mafia” è la meno gettonata dalla compagnia di giro che sta dando vita a una delle campagne elettorali più sgangherate e meno credibili agli occhi degli italiani della storia italiana del dopoguerra. E questo significa qualcosa.
D’altra parte, appena qualche giorno fa, vi avevamo dato conto di quel pesce maleodorante - il rifiuto da parte dello Stato di avvalersi sino in fondo dello strumento della confisca dei beni di provenienza criminale - servito sulla tavola degli italiani, dalla commissione giustizia della Camera, a firma Forza Italia e Lega, Pd e Azione, con i Fratelli d’Italia i quali, astenendosi, avevano preferito girare la testa dall’altra parte.
Insomma. Dovremmo esserci capiti.
Ora sì dà il caso, e ognuno valuti la circostanza come gli pare, che i 5 stelle e i parlamentari di Alternativa siano gli unici ad avere votato contro quel decreto, il pesce maleodorante di cui sopra, che manderà in soffitta buona parte delle confische nei processi che non arriveranno a compimento.
E sì dà anche il caso, e ve ne demmo conto qui, che Giuseppe Conte, il leader dei 5 Stelle, è stato l’unico uomo politico italiano a prendere carta e penna entrando nel merito delle motivazioni della sentenza di secondo grado sulla Trattativa Stato-Mafia, assai benevola nei confronti di chi protesse l’archivio di Totò Riina prima, e la latitanza di Bernardo Provenzano dopo.
Sì dà, infine, il caso che Giuseppe Conte abbia voluto mettere in cima alle sue liste, per il Senato, Roberto Scarpinato.
Chi sia Scarpinato è superfluo a dirsi.
Tutti quelli che lo vogliono sapere lo sanno.
Ne conoscono la ultra trentennale carriera in magistratura; scandita sempre dall’assunzione di responsabilità coraggiose, chiarezza di giudizio, denuncia costante delle complicità, spesso nefaste, del Potere con le mafie in ogni loro declinazione.
Magistrato perennemente scomodo. Magistrato che ha spesso dovuto fare i conti, in carriera, con l’ostracismo strisciante di tutti coloro ai quali va il sangue alla testa quando Pubblici Ministeri di valore fanno apparire all’opinione pubblica quanto il Re sia nudo.
Non vogliamo farla lunga.
Scriviamo queste righe non per dire che in Sicilia sia giusto votare Roberto Scarpinato al Senato. Sarebbe la scoperta dell’acqua calda. Ma per dire, invece, che ogni siciliano per bene, che ricorda ancora la Sicilia delle stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, non può non votare oggi Scarpinato.
Una manifestazione di dovere civico rispetto ai gorghi della attuale palude.
E in caso contrario, non ci sarebbero alibi per nessuno.
Nella Sicilia, dove stanno tornando alla ribalta i vecchi marpioni para-mafiosi di un tempo, “io voto Scarpinato” significa semplicemente dire che la partita ancora non è finita.
Foto © ACFB
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La rubrica di Saverio Lodato
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