Per carità.
L’errore più facile che ora potrebbe commettere il centro sinistra sarebbe quello di dire che Roberto Lagalla è stato eletto sindaco di Palermo grazie alla mafia e ai mafiosi. Sarebbe il modo migliore per continuare a perdere per i prossimi venticinque anni.
Il disappunto di Franco Miceli, una persona per bene, che traspare dalle sue dichiarazioni, è umano. Soprattutto in considerazione della portata della sconfitta - l’altro duellante (Lagalla) prende il doppio dei suoi voti - che nessuno, alla vigilia, avrebbe immaginato di queste dimensioni.
Non condivisibile, invece, da parte di Miceli, il suo indice puntato verso questo “quaranta per cento” che consente l’elezione al primo turno.
L’ennesima marpionesca stramberia siciliana, ovviamente sancita con provvedimento regionale (il PD come votò?), unica nel panorama elettorale italiano. Qualcuno, di grazia, saprebbe spiegarci il perché? Né vale gridare allo scandalo ora che la frittata è fatta, si sapeva che con il quaranta poteva vincere Miceli e poteva vincere Lagalla. E ha vinto Lagalla.
Ma di fronte a questo risultato di Palermo, sarebbe troppo facile cavarsela dicendo che cosa fatta capo ha. Torniamo allora su questo benedetto tema della mafia.
I fatti sono noti.
Sono scese in campo due vecchie glorie di Palermo, Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Con la pretesa di potere tornare a dire la loro, politicamente parlando, avendo chiuso i loro conti con la giustizia. Poi sono scese in campo altre due glorie di nuovo conio, gli aspiranti consiglieri comunali (uno di Forza Italia, l’altro di Fratelli d’Italia) arrestati, alla vigilia dell’apertura delle urne, perché accusati dalla Procura di voto di scambio con boss mafiosi di ottimo lignaggio.
Alfredo Morvillo e Maria Falcone avevano messo in guardia i palermitani dal rischio di una deriva di ritorno al passato. E lo avevano fatto con largo anticipo rispetto al successivo tintinnio delle manette. In altre parole, alla sola (in quel momento) notizia che Cuffaro e Dell’Utri si erano svegliati dal letargo.
Già, in quei giorni, si era capito che tirava una brutta aria. E non ci riferiamo tanto all’appoggino teorico dato a Cuffaro e Dell’Utri dal professor Giovanni Fiandaca, quanto al forse più stupefacente, e inatteso, “ego te absolvo”, da parte di padre Cosimo Scordato, sacerdote di prima linea in anni lontani. E al quale nessuno ha mai rimproverato cadute di tensione morale.
Nel mezzo stava Lagalla, che tentava di sopravvivere a un difficile conto alla rovescia. Riuscendoci, possiamo dire con il senno del poi. I fatti sono questi.
La mafia ha votato Franco Miceli? No.
La mafia ha votato per Lagalla? Lo diranno gli studi sui flussi elettorali e nei quartieri più a rischio.
Lagalla è sindaco di Palermo perché cosi ha voluto Cosa Nostra? Non diciamo baggianate.
Quasi centomila palermitani hanno inteso chiudere con una narrazione di questa città che ormai da anni faceva acqua da tutte le parti.
Scrivemmo qui - en passant - che sarebbe toccato ai cittadini di Palermo esprimersi definitivamente sull’esperienza sesquipedale di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo. Oggi disponiamo di questo verdetto. Il verdetto non è lusinghiero.
Immondizia, bare a cielo aperto, eterni lavori in corso, traffico, hanno avuto ragione, e in negativo, sui grandi meriti di immagine di un sindaco che aveva cambiato - e radicalmente - la percezione, all’estero e in tutt’Italia, dell’ immagine di Palermo. Non è bastato. E non poteva bastare, vista la perdurante gravità dei problemi che hanno segnato gli ultimi anni della sindacatura in discussione.
Diciamo anche che non abbiamo ben capito - ma questo è nostro limite, perché la politica si è fatta mistero - la candidatura di Fabrizio Ferrandelli (eterno perdente contento) utile, a conti fatti, solo a far perdere Miceli e far vincere Lagalla. Ma ancora non è tutto.
Siamo convinti - ma è solo un opinione - che i palermitani si fossero un po’ stufati del ricorso al tema dell’antimafia come fosse una comoda coperta da tirare di qua e di là a seconda delle circostanze.
Per il centro sinistra, la lotta alla mafia, a Palermo, negli ultimi anni, aveva finito con il disturbare il manovratore. Questo lo avevano percepito tutti. E questa è una città che, appena gli dai un alibi, ti volta le spalle.
Quanti alibi le hanno dato il centro sinistra, i professorini, i mafiologi da un tanto al chilo?
E l’auspicio è che molti di quest’ultimi adesso non siano già pronti a traslocare alla “corte di Lagalla” …
Si spiega così perché i picciotti si erano presi di coraggio tornando a farsi minacciosi.
Ma - come dicevamo all’inizio - anche i grandi giornali nazionali farebbero bene a capire che questo voto non può essere spiegato come se a Palermo fossimo ancora ai tempi dei mafiusi de la Vicaria.
Troppo facile. Troppo comodo.
Foto © Francesco Piras
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La rubrica di Saverio Lodato
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