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Tremate, tremate, le cosche son tornate. Da non crederci: a Palermo è tornata la mafia.
E’ la mafia che vuole fare affari e si offre al migliore offerente.
E’ la mafia che fa il suo perenne occhiolino alla politica.
E’ la mafia che confeziona pacchi di pasta e impila mazzette di euro per convincere il solito elettorato disperato a votare “come vuole Iddio”…
E’ la mafia, in altre parole, che vede tornare, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, un clima da liberi tutti che da cosa potrebbe far nascere cosa. I picciotti, per ora, si stanno leccando i baffi. E fanno quello che hanno sempre fatto.
E verrebbe quasi da dire che dopo le polemiche al calor bianco, nel trentesimo anniversario della strage di Capaci, se non ci fosse stato un caso di cronacaccia come quello dell’ arresto del signor Pietro Polizzi, di Forza Italia, un caso simile bisognava quasi inventarlo.
Spieghiamoci.
Le parole dure di Alfredo Morvillo e Maria Falcone, contro l’affettuoso abbraccio di Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri al rettore Roberto Lagalla, che si candida a sindaco di Palermo, sembravano destinate - e anche noi commettemmo questo errore - a restare nella nicchia della letteratura anti mafiosa per amatori.
Insomma: parole che era giusto dire, visto che era il trentesimo di Capaci, sapendo a priori che i destinatari di quel messaggio avrebbero gridato alla retorica strumentale, alla cultura del sospetto, alla macchina del fango, alla gamba tesa per impedire a uno specchiato candidato, Lagalla, di scrivere “una nuova storia per Palermo”.
Tutto pulito, tutto perfetto, e potremmo dire, a proposito della candidatura del centro destra del rettore Lagalla, una candidatura illuminata bene.


40 anni mafia lodato bb pb

E illuminata bene persino grazie all’autorevole imprimatur del professor Giovanni Fiandaca, che, in punto di diritto, aveva spiegato, con la consueta puntigliosa petulanza garantista, come e perché Cuffaro e Dell’Utri han da essere considerati politicamente ravveduti, magari non proprio nuovi, ma lavati con Perlana, avendo ormai scontato mafia e condanna per mafia e anni di carcere per mafia.
Dicevamo, però, del “caso Polizzi”. Saltato fuori subito dopo che il saggio del Fiandaca era già stato dato alle stampe, saggio che per questo forse rischia di invecchiare precocemente. Vedremo se il Fiandaca scriverà un breve aggiornamento sul “caso Polizzi”.
Nel frattempo si è capito che Morvillo e la Falcone parlavano di questa Palermo, di queste forze politiche in campo, della partita in gioco oggi, non di un mondo siderale di mafia e antimafia che, secondo alcuni, apparterrebbe al passato. Avevano ragione loro.
Per completezza di informazione, registriamo le dichiarazioni del rettore Lagalla, che prende le distanze dal Polizzi che “non ho mai conosciuto” perché spiega “non è possibile conoscere personalmente oltre settecento candidati”.
Sono finiti i tempi di quel re dei Persiani che, secondo gli antichi, ricordava a memoria, uno per uno, i nomi dei suoi diecimila soldati. Ma non abbiamo alcun motivo per non credere alla buona fede del rettore.
In questi anni a Palermo, e qui non c’entrano più né i Cuffaro né i Dell’Utri, ha prevalso la narrazione dei circoletti accademici e redazionali secondo la quale la mafia non c’era più, era stata sconfitta per sempre, era passata a miglior vita.
Badate bene: non era solo farina del sacco del centro destra.
Era farina anche del sacco del centro sinistra. Ed è farina che circola ancora oggi a piene mani.


i nemici della giustizia cop 2

Per conseguenza: l’ostracismo nei confronti dei PM che ancora si ostinano, a proprio rischio e pericolo, a dire il contrario.
Le campagne violente contro i processi che non si limitano a inseguire i semplici esecutori delle stragi.
L’imbastardimento, sapientemente voluto, dei dibattimenti processuali appena scantonano verso direzioni non gradite ai manovratori. E persino con il contributo di persone rancorose, e che non ti aspetteresti.
Un campionario da brivido lo abbiamo avuto in occasione del recente anniversario di Capaci.
Persino con la riscrittura della storia di Palermo di trent’anni fa, capovolgendo fatti e ruoli, da parte degli stessi che in quegli anni facevano la guerra a Falcone, a Borsellino al pool antimafia.
In conclusione.
Leoluca Orlando esce di scena.
Sindaco, a fasi alterne, per un quarto di secolo, non è riuscito a sconfiggere la mafia a Palermo. Ha fatto di tutto per tenerla alla catena. Merito che gli va riconosciuto. Ma la mafia c’è ancora, e si vede. Sta tornando a ringhiare.
Toccherà ai palermitani giudicare il quarto di secolo orlandiano.
Roberto Lagalla, del centro destra, o Franco Miceli, il candidato del centro sinistra?
In base a chi prevarrà, conosceremo anche lo stato di salute della Cosa Nostra di oggi. Come si vede, elezioni molto serie quelle che avranno luogo domenica 12 giugno.
A noi non piacerebbe che i picciotti si convincessero che possono tornare a Palazzo delle Aquile.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato  

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