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Saigon è caduta e le truppe di Ho Chi Minh dilagano. Fine della maratona, fine delle maratone (anche televisive). In politica contano i fatti, non le chiacchiere in libertà.
Di questo Parlamento, avevano fatto un Vietnam, per pochi piatti di lenticchie, guardando alle prossime elezioni, volendo regolare al loro interno i conti della serva, quelli che chiamano nobili battaglie per la leadership.
Sul fatto che Sergio Mattarella e Mario Draghi restano dove sono, torneremo.
Non siamo fra quelli che ritengono che quella trascorsa sia stata una settimana inutile. Macché. Utilissima, invece.
Adatta a mostrare agli italiani, quanto sia spappolata, inadeguata, vacuamente narcisistica, indifferente ai problemi della gente, in alcuni casi persino gaglioffa, la nostra classe politica. La quale continua a blaterare di una sua centralità, una volta contro la magistratura, una volta contro i "tecnici", una volta contro gli stessi presidenti del consiglio e della Repubblica visti come usurpatori o paraventi che fanno ombra alla sua totale insipienza.
Capace solo di dire: “Ce lo chiede l’Europa”, quando si tratta di porre mano a una riforma della giustizia che, a detta degli stessi magistrati, fa acqua da tutte le parti. E capace solo di dire all’Europa: dacci i soldi.
Se gli italiani fossero più bravi nel portare memoria, alle prossime elezioni, dovrebbero rieleggere al massimo il dieci per cento degli attuali parlamentari. Accadrà? Mai dire mai.
Seconda considerazione, per i media.
Salotti televisivi e giornali trasformati in parrocchiette di opinionisti con opinioni sradicate, che non hanno mai osato intravedere, suggerire, ipotizzare, sottoporre agli ascoltatori lo scenario che invece oggi si è delineato.
Forse non potevano farlo, perché dovevano proporre il menù del giorno, un menù composto purtroppo da piatti difficilmente commestibili.
Era commestibile la candidatura di Silvio Berlusconi?
Era commestibile la candidatura della Elisabetta Casellati?
Erano commestibili le candidature di Letizia Moratti, Carlo Nordio, Franco Frattini, Sabino Cassese, risalenti, quanto a curriculum, agli ultimi anni della guerra fredda? Nomi sbandierati come "unitari" destinati a trovare il gradimento dell’altro schieramento? E va detto che loro ci credevano, come Berlusconi e la stessa Casellati, prima di fare l’amara scoperta di essere stati tutti vittima di un gigantesco caso di “circonvenzione di incapaci”.
Questa volta, il presidente “tocca al centro destra” è diventato così lo slogan di un centro destra che - e lo si è visto - non aveva un nome presentabile.
Il Vietnam è cominciato lì: con quei nomi jurassici, sbattuti da Matteo Salvini sul tavolo di una trattativa, tavolo che si voleva rovesciare, ancor prima che la trattativa spiccasse il volo.
E il Vietnam è continuato. Eccome se è continuato. Con quelli che poi hanno alzato l’ingegno, con altri nomi, più adatti alla bisogna, meno “divisivi”, insomma.
Ecco allora saltare fuori dal cilindro, il candidato - sintesi per antonomasia di tutto e il contrario di tutto: Pier Ferdinando Casini. Esponente con due vite politiche in una. Una di destra e una di sinistra. E che si voleva di più?
Anche lui ci credeva, prima di scoprire a sue spese di essere finito nella rosa della “circonvenzione di incapaci”.
Ma il Vietnam è continuato, eccome se è continuato.
Quando, fuori tempo massimo, fu creata la Donna Quirinabile: e vai con la Elisabetta Belloni, con Paola Severino, con Marta Cartabia. Ed è lecito suppore che ci credevano anche loro. E non aggiungiamo altro.
Gli italiani guardavano. E si chiedevano: ma se volevano una presidente donna, perché non la indicavano all’inizio delle danze? Che figurone che avrebbe fatto la politica nel suo insieme.
Quanti nomi abbiamo fatti e quanti ne abbiamo dimenticati.
Tiriamo le fila conclusive.
Molti osservatori teorizzavano che “chi fa gli scatoloni” del trasloco perde il suo amor di patria. E’ una interpretazione forzata della Costituzione, che di traslochi e trasportatori non fa menzione.
Per altro, a noi, Sergio Mattarella sembra un “patriota”. E non capiamo sino in fondo l’irritazione di Giorgia Meloni, che voleva il “patriota” al Quirinale. O al “patriota” avrebbe preferito le elezioni anticipate? O Mattarella non è un “patriota”?
Bel respiro di sollievo per Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, che potranno continuare a contendersi il Movimento 5 Stelle che fu, in attesa delle elezioni che verranno.
E in casa Pd?
Forse andrebbe dato atto a Enrico Letta di non aver contribuito mai con nomi strampalati alla giostra della “circonvenzione di incapaci”. Anzi. Sin dall’inizio si era espresso sulla ricandidatura di Mattarella dicendo che sarebbe stato “il massimo”. Va infine dato atto ai 5 Stelle del Senato, e a Matteo Orfini (PD), di avere detto quello che nessuno osava dire in tempi che sembrano remoti.
Noi, che non contiamo proprio nulla, ci avventurammo qui, ed era il 6 gennaio, in una audace lettera rivolta a Sergio Mattarella. E ve la riproponiamo.
Lunga vita a Mattarella, dunque.
E lunga vita anche a Mario Draghi.
Sono avvertiti: con il Parlamento e la classe politica in queste condizioni non possono prendersi neanche un raffreddore.

Foto © Imagoeconomica

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La rubrica di Saverio Lodato

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