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Disvelamento o occultamento della verità?
Il drammatico dilemma in cui si dibatte la magistratura italiana di oggi è tutto qui; in questi che ormai sono anni di finte narrazioni, occultamenti di interi blocchi della storia nazionale, rimozioni spregiudicate. E che ci stiamo riferendo ad almeno settant'anni di storia italiana di sangue e misteri, oscenità del Potere e costante compressione della democrazia, si capisce.
Sarà anche per questo che oggi gli investigatori e i magistrati sono passati di moda. Rappresentano i comprimari scomodi di un modo di intendere la giustizia che è venuto a noia - anche se mai visse vita facile - perché la politica, per far liberamente intrallazzi e affari, di tutto ha bisogno fuor che di controllo della legalità da parte di un potere terzo.
In altre parole, si potrebbe dire, quasi con una battuta irriverente: eh, non ci sono più i magistrati di una volta.
Ma il caso vuole, proprio in questi giorni, che siano andati in pensione, al termine di carriere decennali, due magistrati di Palermo che sino all'ultimo sono stati quasi il prototipo di un certo tipo dei magistrati di una volta: Roberto Scarpinato, Teresa Principato.
Un uomo e una donna che hanno speso la loro intera esistenza professionale alla ricerca del come andarono le cose negli ultimi cinquant’anni di Sicilia.
L’uno e l’altra schierati dalla parte del “disvelamento”, perché troppe favolette - prima fra tutta quella che la mafia avrebbe sempre fatto tutto da sola -, non potevano più essere digerite dall’opinione pubblica.
Roberto Scarpinato fu il magistrato che organizzò, mettendo nero su bianco, la rivolta dei sostituti ribelli di fronte alla salma di Paolo Borsellino, e quando era ormai di solare evidenza che, Falcone prima e Borsellino poi, erano finiti al macello al culmine del loro isolamento che era cresciuto proprio dentro le mura di quel Palazzo di giustizia.
Facile - oggi - a dirsi.
Facile - oggi - farsene vanto a posteriori, come pure qualcuno, falsificando date e contesti, pretenderebbe di mistificare, trent’anni dopo.
Facile - oggi - fare spallucce, con malcelato fastidio di fronte a quella che fu un indiscutibile scelta di coraggio professionale.
Allora tremarono i Palazzi. Non solo quello di giustizia.
E tremò Palermo, come si vide ai funerali delle vittime di Capaci e via D’Amelio, con un intero popolo sgomento e inferocito alla vista di quanto fosse compromesso il Potere.
Poi anni e anni di processi.
Quello a Giulio Andreotti, dalla Cassazione condannato ma prescritto, e la cui accusa per mafia trovò in aula in Roberto Scarpinato uno dei sostituti più lucidi e documentati.


i nemici della giustizia cop 2

E andrebbe riletta oggi la sua monumentale inchiesta sui Sistemi Criminali che altri procuratori - già molto sensibili alla nuova aria che tirava - preferirono avviare invece nel grande hangar delle inchieste insabbiate.
Di Teresa Principato vanno menzionate le indagini per la cattura di Bernardo Provenzano, le prime scoperte dei “pizzini”, la cattura finale del Padrino, per poi ricominciare la caccia a Matteo Messina Denaro che, però, prosegue sino a oggi.
Il Disvelamento, dicevamo.
Di questo si occupavano i magistrati di una volta, e un pugno di magistrati di oggi che non si arrendono. Significativamente si deve a Nino Di Matteo, se nel plenum del Csm sia stato ricordato l'esempio professionale rappresentato da Roberto Scarpinato e Teresa Principato. E’ quel disvelamento che dovrebbe ispirare l’intera riforma della giustizia.
Ma fermiamoci qui.
Finiremmo con lo scantonare, ora che un certo modo di concepire la giustizia sembra sia passato di moda.

Foto © Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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