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Non abbiamo capito se è la solita Perfida Europa a chiederci di tenere al suo posto Claudio Durigon.
Non abbiamo capito se, cacciandolo a pedate dalla compagine governativa, l’Italia correrebbe il rischio di perdere i cospicui aiuti previsti dal Recovery Fund.
Ma fatto sta che lui, il prode sottosegretario all’economia, passato alla cronaca e alla storia di questo nostro paese straccione, per aver gettato giù dalla torre Falcone e Borsellino, e innalzato al loro posto Arnaldo Mussolini, resta imperturbabilmente in poltrona.
Suo compare, Matteo Salvini, gli dà spago, mentre Giancarlo Giorgetti, ministro allo sviluppo economico, il terzo leghista della compagnia, fa la parte malmostosa dello statista che non gradisce.
Il teatrino va avanti. I giornali rendicontano. Le anime belle, certi editorialisti abituati ad azzannare a comando, in questo caso tacciono. L’opinione pubblica firma appelli.
Qui, qualche giorno fa, avevamo detto garbatamente la nostra, permettendoci di osservare che forse era il caso che il premier Draghi, e la ministra Cartabia, battessero - come usa dire nelle sedute spiritiche- un colpo. Neanche per sogno.
Muti erano e muti sono rimasti.
Come quegli spiriti ripetutamente evocati che capricciosamente si negano all’accorato appello dei parenti.


il patto sporco 820 546

Ora intendiamoci bene.
Ce ne vorrà di tempo prima che Draghi e compagnia Cartabia riusciranno a convincerci che in Italia il manovratore non deve essere disturbato su quisquilie e pinzillacchere come il fascismo e la mafia.
Il Caso Durigon insomma. Che entrambi li racchiude. E volgarmente.
Durigon, il quale resta al suo posto, fottendosene di Draghi, Cartabia, Salvini e Giorgetti.
Perché sarebbe sconveniente per un premier e una ministra della giustizia dire: sto con Falcone e Borsellino, non abbiamo nulla a che vedere con il fascismo.
Così stanno le cose.
Quanto a noi, per quello che vale, vorremmo vivere con un governo che fosse contro il fascismo e contro la mafia.

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto originale © Paolo Bassani

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