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Cediamo volentieri lo spazio di questa nostra rubrica a un “parlato televisivo”, definizione grossolana che però rende l’idea, che dura appena un minuto e trentatré secondi.
Poche parole, concetti chiari, immagini perfettamente legate per accompagnare lo spettatore a capire. Di questi tempi, in questi tempi televisivi, che volere di più?
E ne siamo ben lieti, essendo fra quelli che più ripetutamente, ossessivamente, secondo altri, siamo soliti puntare il dito sui silenzi della grande informazione in materia di Mafia e Stato, informazione scritta, informazione televisiva.
C’è un modo tutto italico, quando esplode uno scandalo che fa male al Potere, per soffocare i cittadini sotto una valanga di detriti informativi, brandelli di dichiarazioni, frasi decontestualizzate, date e nomi sparati a casaccio, tagli redazionali, il tutto sfacciatamente spacciato per abbondanza di notizie.
Il risultato però è che lo spettatore, o il lettore che sia, finisce col perdere la bussola di quello che vede, di quello che legge. Non riesce a venire a capo di nulla. Si sente sull’otto volante, e, o resta annichilito, o passa ad altro.
Esattamente il “latinorum” degli intellettuali italiani di una volta, inventato a bella posta, secondo Goffredo Parise, proprio per non farsi capire, per non fare capire, per impedire che gli altri capissero. E che in politica raggiunse vette ineguagliabili con il linguaggio moroteo e le altrettanto inarrivabili “convergenze parallele”.
“Perché è facile scrivere chiaro” fu il titolo di un articolo in cui Parise (15 luglio 1977), sul Corriere della Sera, rispose a Franco Fortini, altro intellettuale di sinistra, che qualche giorno prima, sullo stesso quotidiano, aveva invece titolato: “Perché è difficile scrivere chiaro”.
Ecco, sembra sempre di essere allo stesso punto.
Scrivere per farsi capire?
O scrivere per nascondersi?


il patto sporco 820 546

Il caso di Luca Palamara ha rappresentato uno di quegli scandali che fanno male al Potere, avendo svelato facce nascoste del modo di fare magistratura, di fare politica e di fare giornalismo in Italia (e lo straordinario successo del suo libro “Il Sistema”, scritto insieme a Alessandro Sallusti, sta a dimostrare che gli italiani pretendono di sapere tutto quello che c’è da sapere).
Poi, c’è il caso di Nino Di Matteo, con tutto quello che si porta dietro di totalmente antitetico rispetto al “caso Palamara”, e che i nostri lettori ben conoscono.
Il “latinorum” sin qui non permetteva che le due storie apparissero intimamente connesse, come invece lo sono state sin dall’inizio.
E quanto occorreva, televisivamente parlando, per dar vita a questo piccolo miracolo di “chiarezza”?
Far capire cioè che Luca Palamara esercitava, volente e obtorto collo, anche cioè su delega altrui, un potere che era istituzionalmente portato a respingere, quasi per principio, una figura come quella di Di Matteo?
Occorrevano appena un minuto e trentatré secondi.
Quelli del servizio - andato ieri su La7 - firmato dalla giornalista, Mariagrazia Gerina, la quale ci sembra aver fatto più tesoro della lezione di Goffredo Parise, che di quella di Franco Fortini.
E infatti si è fatta capire benissimo.
Anche da tutti i giornalisti che si trovavano in studio.

Per guardare il servizio: clicca qui!

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La rubrica di Saverio Lodato

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