Rieccolo.
Sempre lui, sempre “magistrato di prima linea”.
Sempre dato per spacciato dai suoi denigratori.
Sempre allo spiedo, a causa della sua tenacia e trasparenza.
C’è quasi qualcosa di buffo, in questo Nino Di Matteo dalle sette vite, che in tanti vorrebbero, figurativamente s’intende, morto e defunto, e altri ancora, invece, morto per davvero.
Ne scriviamo oggi, dopo la sua dirompente intervista di ieri sera a Corrado Formigli, per Piazzapulita, perché questa volta non si parlava di mafia; delle telefonate secretate e polverizzate per ordine di Giorgio Napolitano nell’ambito dell’inchiesta sulla Trattativa Stato-Mafia, poi sfociata nelle consistenti condanne di Palermo; del suo ruolo di pubblico ministero non addomesticabile in quel processo; della storia della sua nomina alla direzione del Dap, a suo tempo promessa e rimangiata dall’ex ineffabile ministro Bonafede; del disperato tentativo dei suoi denigratori di coinvolgerlo, quando ancora in magistratura non aveva né arte né parte, nella confezione del finto pentito Vincenzo Scarantino nella strage di via D’Amelio; delle ripetute bocciature alle sue domande per entrare a far parte della Superprocura alle quali si preferivano le domande di chi aveva la metà dei suoi titoli; della sua cacciata, e del suo conseguente reintegro, nella commissione stragi della Procura nazionale antimafia, una volta in cui vi era stato finalmente ammesso a pieno titolo: dell’essere stato bandiera simbolica dei 5 stelle, in tempi in cui lo slogan onestà-onestà spingeva il movimento a cambiare bandiere con la stessa frequenza con cui si cambia la biancheria intima.
No.
L’altra sera, Di Matteo si è trovato sotto i riflettori di Piazzapulita in tutt’altre faccende affaccendato. A quale titolo, vi chiederete?
Per la semplicissima ragione che, non fosse stato per lui, i verbali del famoso avvocato Amara, poco firmati, poco registrati, poco messi agli atti, mai atterrati nelle sedi competenti e previste dalla legge, starebbero ancora a vagolare senza scopo, tra segrete stanze della magistratura e pubbliche redazioni dei giornali.
In altre parole.
Alcuni giorni fa, avendo ricevuto in plico anonimo qualche moncherino degli atti che riguardano gli interrogatori dell’avvocato Amara, e segnatamente quelli che contengono le schizzatine di fango contro il magistrato, Sebastiano Ardita, indicato come massone incappucciato della loggia sedicente Ungheria, Di Matteo, dicevamo, ha preso la parola al Csm per denunciare i fatti. Coerentemente da lui già rappresentati alla Procura di Perugia che indaga sull’avvocato Amara.
Apriti cielo.
E l’avvocato Amara che aveva denunciato l’esistenza della loggia segreta al pubblico ministero Storari, a quanto pare, a fine 2019 (Una quarantina di nomi Eccellentissimi; a proposito: quando conosceremo gli altri, a parte Ardita?).
E il sostituto Storari, che voleva iscrivere tutti nel registro degli indagati.
E il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, che invece - a detta di Storari lo precisiamo - non voleva iscrivere nessuno.
E allora Storari che, non demordendo, si rivolge a Piercamillo Davigo, suo conoscente, cercando solidarietà professionale.
E Davigo che a sua volta, e a suo dire, - anche in questo caso è d’obbligo la precisazione - investe dell’“affaire” il vice presidente del Csm, David Ermini, il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, altri consiglieri, e, in sovrannumero, financo il Quirinale.
E dimenticavamo: Nicola Morra, presidente della commissione parlamentare antimafia, che sostiene di esser stato coinvolto anche lui.
Ermini ha smentito Davigo.
Davigo ha smentito Morra.
Greco, Salvi e il Quirinale, evitano i riflettori.
Che ne abbiamo capito?
Poco.
Tranne che con simile tran tran è volato via oltre un anno prima che le notizie, grazie al solito Di Matteo, divenissero di dominio pubblico.
Concludendo.
Le ricostruzioni di tutte le parti in causa possono essere più o meno perfette, umanamente giustificate o giustificabili. Tranne che per un piccolo dettaglio: se i protagonisti, veri o presunti che siano, non si fossero dimenticati di lasciare qualche traccia scritta, oggi farebbero certamente un figurone.
Però pare che di scritto ci sia molto poco, o nulla.
Imbarazzante.
Ora indagano Brescia, Roma e Milano e Perugia.
E infine, per dover di cronaca, si registra il caso dell’immediata sospensione dal Csm, della signora Marcella Contraffato, a suo tempo segretaria di Davigo, e oggi indagata per aver recapitato i verbali dell’avvocato Amara ai quotidiani, La Repubblica e Il Fatto. Che non li pubblicarono.
Però ci resteremmo male - lasciatecelo dire - se alla fine dei giochi, a pagare il conto per un “affaire” così delicato, rimanesse la signora Contraffatto, solito vaso di coccio, fra soliti vasi di ferro.
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La rubrica di Saverio Lodato
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