Quando, per arrivare alla sentenza di un apparentemente semplice processo di mafia, volano via 32 anni, dicasi trentadue, significa che c’è tanfo di Stato, tanfo di istituzioni marce, tanfo di divise macchiate dal compromesso e dalla corruzione, tanfo di ordini piovuti dall’alto, tanfo di mandanti e esecutori che, pur avendo messo qualche chilo in più, passeggiano ancora indisturbati fra di noi.
Stiamo infatti parlando del processo per l’uccisione dell’agente di polizia, Antonino Agostino, assassinato insieme alla giovane moglie Ida Castelluccio, il 5 agosto 1989, in quel di Villagrazia di Carini, nel palermitano.
Delitto che, a suo tempo, colpì non solo per la ferocia (una donna incinta uccisa a pistolettate era pur sempre una rarità nel campionario degli orrori mafiosi), ma anche per il normale profilo di un poliziotto che prestava servizio nella borgata di San Lorenzo (a Palermo) e che, almeno sulla carta, non rientrava nella task force antimafia dell’epoca, in quegli anni ruggenti di Palermo.
Eppure Agostino venne assassinato, e, solo un anno dopo, toccò sorte analoga a Emanuele Piazza, anche lui poliziotto, e del quale era amico.
Che si tratti di due delitti, in qualche modo paralleli, processi e mezze verità hanno finito con il certificarlo. I due giovani poliziotti, insieme o separatamente, fatto sta che andavano a caccia di latitanti mafiosi, uniti da amicizia e condivisione del loro lavoro. Mestiere, ai tempi, ad altissimo rischio.
I commissariati periferici dove i due prestavano servizio erano solo una copertura, entrambi avendo le spalle coperte dalla loro collaborazione (la forma esatta di questo rapporto non la conosciamo neanche oggi, a oltre 30 anni da quei delitti) con il Sisde. Ma con il passare del tempo, la domanda è diventata un'altra: davvero le loro spalle erano coperte dal paravento dei servizi, o erano invece scoperte ed esposte ai quattro venti? Ecco il cuore nero della questione. Ecco perché sono trascorsi tre decenni. Se si riuscisse a rispondere a questo dilemma, tutto il resto verrebbe da sé.
Oggi viene condannato all’ergastolo Antonino Madonia, storico boss mafioso di Resuttana, nel cui mandamento ricadeva Villagrazia di Carini, dove avvenne il duplice delitto, Agostino-Castelluccio. Ma la storia processuale non finisce qui.
Madonia, condannato dal gip Alfredo Montalto, in riconoscimento della stessa richiesta della Procura Generale, retta da Roberto Scarpinato, aveva infatti scelto il rito abbreviato; a differenza degli altri due imputati, Gaetano Scotto e Francesco Paolo Rizzuto; contestualmente rinviati a giudizio, uno per l’esecuzione, l’altro per favoreggiamento aggravato. E trovate qui, l’esauriente ricostruzione di Aaron Pettinari.
Fa bene adesso, Vincenzo, il papà dell’agente Agostino, a non tagliarsi la barba.
Fa bene, pur commentando favorevolmente la condanna del Madonia, a chiedere e pretendere che saltino fuori i burattinai che agirono nell’ombra, e che lui, difeso dall’avvocato Fabio Repici, afferma fossero tre funzionari, e di altissimo livello, e tutt’ora vivi e vegeti.
E fa bene, altresì, a ricordare che fu proprio Giovanni Falcone, durante i funerali del figlio a pochi mesi dal fallito agguato all'Addaura, a lasciare intendere che quel delitto era delitto di alta mafia, delitto eccellente.
Altro che la triste esecuzione di un agente di commissariato periferico. E vale, ovviamente, anche per il povero Emanuele Piazza.
Foto © Emanuele Di Stefano
Rielaborazione grafica by Paolo Bassani
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La rubrica di Saverio Lodato
Fa bene Vincenzo Agostino a non tagliarsi la barba
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