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Ha fatto bene il palermitano Elio Collovà, da anni consulente di diverse Procure interessate al fenomeno mafioso e amministratore giudiziario di patrimoni mafiosi, a scrivere il libro “Mafia egemone”, sottotitolo: “Il potere del sistema mafia e le sue ricadute sulla collettività”, per le edizioni Albatros e prefato da Domenico Gozzo, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia e terrorismo.
Ha fatto bene, non per una, ma per due ragioni.
Partiamo dalla seconda.
Tutta Italia ha sentito parlare del “sistema Saguto”. I grandi e giurati nemici dell’ antimafia hanno lucrato sin quando hanno potuto, quasi ad esaurimento verrebbe da dire, sui comportamenti spregiudicati, disinvolti, stigmatizzati poi in sentenza di condanna, della signora Silvana Saguto, l’amministratrice giudiziaria che dalla gestione dei beni mafiosi era riuscita a ricavare un personalissimo terno al lotto. E con la creazione di un sistema di avvocati a lei satelliti, che aveva fatto scempio degli elementari doveri professionali che dovrebbero rappresentare il pane quotidiano di qualsiasi rappresentante dello Stato.
Se dovessimo dirla tutta, dovremmo dire che grazie (ma si fa per dire) al “caso Saguto”, la larga opinione pubblica italiana scoprì l’esistenza della figura dell’amministratore giudiziario dei beni mafiosi.
Scrive, fra l’altro, nel suo libro, Elio Collovà: “Quando, per motivi di lavoro, ero costretto a presentarmi al presidente Silvana Saguto - giudice delegato in alcuni procedimenti in cui ricoprivo la carica di amministratore giudiziario - ero pervaso da un generale senso di malessere. Cominciavo, già da prima, a prefigurare il suo stato d’animo, il suo umore, sperando sempre di incappare in un momento buono. E questa sorta di preventivo stato d’animo si presentava nel corridoio antistante la sua stanza, nel quale passeggiavo, su e giù, attendendo il suo arrivo, come sempre, non prima delle undici del mattino. E fra la tensione e i pensieri che mi arrovellavano la mente, aggravati dallo stress dell’attesa, mi chiedevo molto spesso come era possibile che nessuno dei capi del palazzo di giustizia avesse mai fatto caso agli orari comodi del Giudice”. Già, certi capi del palazzo di giustizia di Palermo meriterebbero un romanzo a parte.


mafia egemone 820

Ma non si trattava soltanto di fare la bella vita, e con orari assai comodi - e Collovà nelle pagine successive del libro lo documenta puntigliosamente; e coraggiosamente, facendo tutti i nomi sui quali avrebbe tranquillamente potuto sorvolare e nessuno gli avrebbe potuto rimproverare niente.
Insomma, si è tanto parlato della Saguto, dovremmo ora parlare, e lo stiamo facendo, di Elio Collovà.
Ci sono magistrati e carabinieri, poliziotti e finanzieri, persino uomini politici, a volte, che si schierano apertamente - e a proprie spese - contro la mafia.
Ma ci sono anche, soprattutto in una Procura come quella di Palermo. rappresentanti dello Stato con la schiena più che dritta, non esposti ai riflettori mediatici, di conseguenza quasi sconosciuti, che svolgono un lavoro prezioso. E che, come Collovà, la mafia la conoscono “per tabulas”.
Quindi, dicevamo delle due ottime ragioni per avere scritto questo libro.
La prima è quella di aver fatto luce, e giustizia, sulle schifezze emerse dal “caso Saguto”.
La seconda è la conoscenza del fenomeno mafioso, "per tabulas", appunto.
Il libro è infatti denso di affreschi - scegliamo a caso: fra il corrosivo sistema di potere di Vito Ciancimino o la mafia dei detersivi o quella delle pompe funebri e del caro estinto - che potevano essere tratteggiati solo da chi, per mestiere, è chiamato a cimentarsi con i documenti giudiziari, le perizie, le stime, i passaggi di proprietà, le carte, insomma.
Un libro che rende giustizia alle piccole, grandi vedette lombarde, che lavorano in silenzio nelle dure stanze dei Tribunali.
Una vedetta palermitana, però, nel caso di Elio Collovà.
Il che, per quanto ci riguarda, è ulteriore titolo di merito.

Foto originale © Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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