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Comprai questa foto in una bottega di un giornalaio a due passi dall’Obelisco, simbolo di Buenos Aires. “Cuando Diego está en el barrio siempre pasa por acà”, Diego passa sempre di qui, quando è nei dintorni, sosteneva.
Maradona è un idolo del popolo argentino.
Sì, perché in quella strana porzione di continente che è il Sud America, tutti hanno un idolo. È come se aspettassero sempre qualcuno che li liberi. Un dio, un politico, un guerrigliero o, perché no, un semplice calciatore.
Basta pronunciare il nome di Maradona, per fare sussultare ogni cittadino della Repubblica Argentina e sentire una cascata di suoni gutturali del tipo “Ehhhh”, “Uhhh” o frasi laconiche come “No se puede explicar”: non si può spiegare.
Oppure, basta vedere l’accoglienza che gli hanno riservato tutti i club del Sud America, che lo hanno di recente sfidato da allenatore del Gimnasia La Plata: orde di persone riversate in strada a gridare il suo nome.
Una mattina ero in ritardo e presi il taxi per andare all’università. Non sono ricco, semplicemente in Argentina costano pochissimo.
Entrai nel taxi e dopo poco chiesi al tassista: “Che squadra tifi?”.
A Buenos Aires ci sono una cosa come 200 stadi e, nell’equivalente della nostra Serie A, quasi tutte le squadre sono della capitale.
Per rispondermi impiegò tutta la durata del viaggio. Non mi disse che squadra tifava, mi disse che tifava la squadra dove aveva iniziato a giocare Maradona.
Finalmente su mia insistenza ammise: “l’Argentinos Junior, boludo! Camiceta de color rojo!”.
Maradona era l’uomo che mise in ginocchio, sportivamente, gli inglesi, gli stessi che insegnarono ai sudamericani quel gioco che poi avrebbero reinterpretato in modo lontano dalla rigidità dei loro maestri: il calcio.
Era l’uomo che per un momento fece gridare talmente forte al cielo gli argentini, da fargli credere di aver vendicato le vittime fatte 4 anni prima dall’esercito inglese nelle isole Falkland (Malvinas per gli argentini).
Li scartò a uno a uno partendo da prima della metà campo e segnò, mentre il telecronista in lacrime ringraziava dio e inneggiava al popolo argentino “unito come un pugno chiuso”. Pochi giorni dopo l’Argentina avrebbe vinto il suo secondo mondiale.
Il gol verrà eletto “Gol del secolo” e centinaia di argentini continuano a tatuarsi il testo integrale di quella telecronaca.
Non era di certo un santo e nemmeno un intellettuale, divenne idolo di una nazione giocando a calcio. E aveva a cuore i più deboli.
Dopo aver incontrato il Santo Padre in persona disse: “Sì, ho litigato con il Papa. Ci ho litigato perché sono stato in Vaticano ho visto i tetti d’oro e dopo ho sentito il Papa dire che la Chiesa si preoccupava dei bambini poveri. Allora venditi il tetto amigo, fai qualcosa!”.
Non è politica, non è calcio.
“No se puede explicar”.
Ciao Diego, idolo di un mondo strano.

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