di Saverio Lodato
Quale proverbio adoperare?
Le bugie hanno le gambe corte?
Solo il tempo è galantuomo?
Tanto tuonò che piovve?
Tanto va la gatta al lardo, finché ci lascia lo zampino?
Le ultimissime notizie dal pianeta carcerario, sono due. E una più clamorosa dell’altra.
La prima: non erano 40, ma 376, i mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti, accompagnati all’uscita dalle carceri, con tante scuse e tutte le carte a posto.
La seconda: il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, ora ci sta ripensando: e li vuole riportare tutti in galera. Meglio tardi che mai.
Però: “Vasto programma”, verrebbe da dire citando Charles De Gaulle che, tornando nella sua Francia liberata, così si espresse, leggendo sul muro di una casa cantonale la frase: “A morte gli imbecilli”. Intendeva dire che gli imbecilli erano troppi.
Ed è quasi imbarazzante dovere scrivere ancora di questa storia. Andiamo con ordine.
Ci avevano lasciato credere che i detenuti, fortunati vincitori del biglietto lotteria che li riportava a casa, fossero “appena” quaranta.
A questa cifra, resa di dominio pubblico a Non è L’arena, il capo del Dap, Francesco Basentini, non aveva avuto nulla da obiettare. Cercava infatti di tenere il punto, con piglio da Azzeccagarbugli manzoniano, nonostante fosse perentoriamente incalzato da Massimo Giletti, il conduttore della trasmissione.
Ma almeno lui, il Francesco Basentini, doveva sapere che gli scarcerati erano dieci volte tanti. I buonisti adesso diranno: e va bene, ma è acqua passata, si è dimesso.
Noi, che sull’argomento siamo buonisti a piccole dosi, ci chiediamo invece: siamo davvero sicuri che Basentini non debba rispondere a nessuno, per avere avallato cifre tanto farlocche, tanto sottostimate, dal momento che è tutt’ora un magistrato in carriera? Non aveva il dovere di correggere le cifre, dando i numeri veri?
E veniamo al ministro della giustizia Bonafede.
La storia magari non ricorderà il nome di Basentini, nonostante tutto quello che abbiamo appena detto. Ricorderà, per certo, il nome di Bonafede.
Ma come ha fatto a non accorgersi che quasi quattrocento persone avevano lasciato le carceri italiane?
E con quei palmarès criminali, poi.
E con fascicoli processuali che pesano chili.
E con quei cognomi sinistri, che evocano la peggiore feccia criminale che da decenni tiene in ostaggio l’Italia, dissanguandola, in senso vero, e in senso figurato.
Un piccolo, ma autentico esodo, sfuggito ai radar e alle antenne potentissime di uno dei ministeri più delicati.
Fatto sta che Bonafede non ne sapeva nulla; non gli giunse l’assordante clangore dei portelloni carcerari che si riaprivano; non si accorse che i buoi stavano scappando; e, nella più benevola delle ipotesi, nessuno dei suoi funzionari avvertì il dovere di informarlo.
Ora lui dice che li vuole riportare dentro. Ma la giustificazione, a sostegno di questa decisione, ci appare inquietante.
Dice infatti Bonafede: “Se il rischio contagio è stato, secondo i magistrati, causa delle scarcerazioni... adesso la situazione sanitaria è cambiata”. Dobbiamo dedurne che i 376 erano muniti di altrettanti certificati medici? Si resta senza parole.
In conclusione?
Sono molti che dovrebbero chiedere scusa a Nino Di Matteo, per il coraggio civico dimostrato nel denunciare l’intera faccenda.
Sono molti che dovrebbero ringraziarlo.
Non fosse stato per lui, correvamo il rischio di ritrovarci le carceri svuotate.
Ma attenzione: adesso si scateneranno i cori garantisti, radicali e avvocateschi che ci spiegheranno che il carcere è riabilitazione, il carcere è buona novella, i pubblici ministeri sono aguzzini, i mafiosi sono poveri diavoli sofferenti, e che Gesù era per il perdono.
Quanto a Bonafede, rischia, nei prossimi giorni, di cadere dalla padella alla brace.
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???? La rubrica di Saverio Lodato
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