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di Saverio Lodato
Con Giampaolo Pansa se ne va il giornalismo italiano che non teneva d’occhio i Palazzi e gli uomini di potere nella speranza di riceverne riconoscimenti o emolumenti ma, al contrario, per marcarli a vista, far loro sentire sul collo il fiato dell’opinione pubblica; nella convinzione che anche il giornalismo, se coniugato con la G maiuscola, pur non essendo fra i poteri codificati da Montesquieu, potesse essere un potere a tutti gli effetti, schierato dalla parte dei deboli, degli umili, di quella che poi, per una breve stagione, sarebbe stata soprannominata la società civile. Se volessimo semplificare, si potrebbe dire che Pansa stava innanzitutto dalla parte dei lettori, e poi dalla parte del giornale.
Il primo ricordo che ho di lui risale alla metà degli anni '80.
In via Ruggiero Settimo, nel centro di Palermo, c’è la Chiesa di Santa Lucia, e su quegli scalini, per anni e anni, stazionò un povero barbone, ammalato e dal volto sfigurato da un vistoso doppio mento. Molti anziani palermitani lo ricordano ancora.
Un bel giorno, seduto accanto a quell’uomo che chiedeva l’elemosina, vidi Pansa che gli rivolgeva domande sul futuro “maxi” processo a Cosa Nostra ormai alle porte, per poi trasferire le risposte sul suo taccuino da cronista. Allora non conoscevo Pansa, ma sapevo chi era, avendo letto più volte, essendo alle mie prime armi nel mestiere di cronista, il suo indimenticabile “Cronache con rabbia”.
Mi colpì vedere un grande del giornalismo prestare ascolto al povero seduto di fronte a una Chiesa, povero che stava lì da sempre, e che mai, a nessuno di noi giovani cronisti di quegli anni, sarebbe venuto in mente di rivolgere la parola, figurarsi di intervistarlo per scopi giornalistici.
Poi ebbi modo di conoscere Pansa personalmente, di andare qualche volta a cena con lui e Adele, la sua amatissima compagna, di essere onorato per la sua simpatia professionale nei miei confronti, mentre scrivevo da Palermo per L’Unità, in quegli anni caldi di Sicilia che poi ci lasciammo dietro le spalle.
Devo a lui la pubblicazione del mio primo libro, intitolato “Dieci anni di mafia”, nel 1990. Gli devo quella pubblicazione in tutti i sensi.
Innanzitutto perché fu lui, in una notte di scirocco palermitano, al termine di una cena, presenti un altro paio di cronisti, a darmi l’idea di scrivere quel libro che oggi, con il titolo “Quarant’anni di mafia”, si continua a ristampare. Poi perché mi mise in contatto con il grande editore di una casa editrice che lui conosceva benissimo e al quale mi disse di inviare il testo.
E infine perché, una volta pubblicato, accettò di presentare il libro a Roma, al Residence di Ripetta. E accanto a Pansa, quella sera, a Roma, c’era un altro presentatore d’eccezione: Giovanni Falcone.
Con Pansa se ne va un vero maestro; e qualche volta, ai propri maestri, si è voluto molto bene.

???? Foto originale © AGF

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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