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di Saverio Lodato
Due regioni, la Val d’Aosta e il Piemonte, pesantemente coinvolte nelle recenti indagini della Procura di Catanzaro che hanno scoperchiato le relazioni occulte fra ‘ndrangheta, politica e massoneria, sono diventate l’emblema di una criminalità che non ha più limiti. Non ha più limiti geografici, non ha più limiti istituzionali, non ha più limiti organizzativi. Addirittura il Piemonte, addirittura la Val d’Aosta. Cosa ci resta ancora da vedere?
Il grido d’allarme di Giorgio Bocca, una trentina di anni fa, di un sistema di mafie che occupavano, militarmente e politicamente, il territorio, ricattandolo, di sole tre regioni meridionali (la Sicilia, la Campania, la Calabria), è acqua passata. Ed è acqua passata non perché Bocca avesse calcato la mano, descrivendo un mostro che non c’era, ma più semplicemente perché aveva intravisto che sotto i ponti del Potere già allora stava passando di tutto. Bocca, però, non avrebbe potuto prevedere - e non previde - che il mondo dell’informazione avrebbe steso il lenzuolo del silenzio e il sudario della retorica su un fenomeno che coincide ormai alla perfezione con i confini nazionali.
Più il fenomeno è allarmante, meno se ne parla. Più il fenomeno si ramifica, meno se ne scrive. Più le mafie si alleano con altri poteri, stringendo patti inossidabili, meno ci si sforza di capire, di spiegare, di informare. Nascondere: è diventato questo l’imperativo categorico di chi “sta in alto”.
Come se la mano esperta di un chirurgo invisibile fosse perennemente all’opera per recidere scenari troppo vasti, parcellizzare il quadro d’insieme di per se’ spaventoso, tenere nascosto all’opinione pubblica, ai cittadini, che politica e criminalità tendono inesorabilmente ad avvicinarsi e compenetrarsi.
Domanda che sorge spontanea: la criminalità ha assunto le dimensioni odierne perché è l’espressione di una forza di per sé inarrestabile, o perché sono venuti meno i filtri della politica che avrebbe dovuto fare da argine? Argine a quell’acqua sporca, intravista da Bocca, che si è inesorabilmente fatta marea montante?
E ancor prima di Bocca, Leonardo Sciascia, era stato, ove possibile, ancora più tranchant: “Da un secolo, da più che un secolo, (lo Stato) convive con la mafia siciliana, con la camorra napoletana, col banditismo sardo. Da trent’anni coltiva la corruzione e l’incompetenza, disperde il denaro pubblico in fiumi e rivoli di impunite malversazioni e frodi…”.
L’anno che si chiude si lascia alle spalle due gigantesche indagini della magistratura. Una, quella alla quale abbiamo fatto riferimento all’inizio, partita dalla Calabria. L’altra, sulla Trattativa Stato-Mafia, che si è sviluppata in Sicilia.
Ne sono simbolo due Pubblici ministeri, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, e lungo dovrebbe essere l’elenco di tutti coloro i quali hanno profuso questo sforzo investigativo.
Non è un caso che entrambi, per ragioni formali apparentemente diverse, sono finiti - e stanno perennemente - nel tritacarne mediatico.
Sciascia, Bocca, Di Matteo e Gratteri, indipendentemente dalle loro professioni, sono attestati sulla stessa linea: quella di chi non considera obbligatorio convivere con le mafie.
E in quest’anno che si apre, altre ne vedremo, altre ne sentiremo, perché i nemici della democrazia e della giustizia non si rassegnano mai facilmente.

???? Foto © Paolo Bassani

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???? La rubrica di Saverio Lodato

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