di Saverio Lodato
Pare che l’altro giorno, in Senato, Matteo Salvini non si sia fatto selfie, mentre parlava Giuseppe Conte, deludendo per la prima volta il suo popolo. E verrebbe da dire che in fondo, alla fine della giostra, sono bastate le forze di un solo premier di buon senso per incatenare il genio della lampada sovran populista che minacciava sconquassi e sfracelli. In Senato - e lo abbiamo visto tutti -, più il premier parlava, e più il genio si sgonfiava e si rimpiccioliva, sino a essere ricacciato in quel rancoroso sottosuolo che lo aveva evocato.
Il premier, sempre da solo, lo prendeva a randellate in testa, presentandogli un conto salatissimo, non perdonandogliene una, mettendolo in riga istituzionalmente, costituzionalmente, politicamente, eticamente, religiosamente, sotto il profilo della buona creanza, perfino affettuosamente.
Il genio, partorito dalla lampada sovran populista, non sapeva dove sedersi, se piangere o ridere, se tenere la bocca aperta o chiusa, se ciondolare il capo o chinarlo, se stringere mani o mangiarsi le unghia, se aizzare o placare gli animi dei suoi pretoriani; blaterava, farfugliava, smarriva il filo, fingeva di rispondere al telefonino, vergava “pizzini” di alleggerimento; dando però in Mondovisione l’impressione che non sapeva più dove trovarsi, quasi dicesse a se stesso: “Che ci faccio io qui?”.
Alla fine della giostra, ci sia consentito dire che Matteo Salvini non era quel gran fascistone che molti andavano descrivendo. Ed è per merito di Giuseppe Conte, da solo, se da oggi Matteo Salvini non sarà più uno spauracchio neanche per i mocciosi di strada.
E qui, adesso, il discorso si fa serio.
E complicato.
La stragrande maggioranza dei parlamentari, leghisti inclusi, non vuole tornare al voto, perché con questi chiari di luna, persino i sondaggi potrebbero rivelarsi coperte troppo corte per difendersi la poltrona. E sin qui ci siamo, e si capisce.
Tutti vogliono che la legislatura non tiri le cuoia prima del previsto. E proprio qui, appena qualche giorno fa, ci riferivamo alla “politica dei derelitti”.
Alla vigilia dello scontro in Senato, va dato atto ai 5 Stelle di avere ritrovato almeno un collante antisalviniano. Grillo e Casaleggio avevano imposto la linea della sopravvivenza, alla quale i senatori si sarebbero poi attenuti in aula. Diciamo linea della sopravvivenza, perché stiamo parlando di un partito che era il Primo partito italiano, ma che oggi sa benissimo che non lo sarebbe più.
Il PD diviso era, e diviso è rimasto.
Prova ne sia che, mentre il chirurgo Conte stava operando a cuore aperto, Matteo Renzi e Nicola Zingaretti si davano spallate pur di entrare in sala operatoria.
A tale proposito.
Ora pare che la linea di Zingaretti stia finalmente prevalendo in casa Pd. E questo lo consideriamo un bene, visto che un’ennesima babele piddina interromperebbe sul nascere il già complicatissimo parto di un governo (a breve si capirà quale). Se possiamo permetterci un modesto suggerimento ai dirigenti Pd, li inviteremmo a non avventurarsi troppo sul terreno dell’"illegittimità elettorale" di questo governo gialloverde che si è appena decomposto.
Evitino le comparsate televisive.
Imparino da Conte a parlare con fatti alla mano, non con l’ausilio delle tastiere.
Tengano un bassissimo profilo, quanto alle dichiarazioni pubbliche.
Si presentino in punta di piedi agli italiani. Facciano capire a chi li guarda che, se rientreranno in un governo, sanno benissimo, loro per primi, di essere dei miracolati.
E stupiscano - questo sì - con grandi effetti speciali, grandi proposte, grandi programmi, grandi impegni, grandi nomi; nomi, oseremmo dire, di altissimo profilo. Vedremo presto se avranno capito la lezione.
Tutto ciò premesso, Giuseppe Conte non piace a quelli che si stanno dando da fare per il nuovo governo, inclusi, a quanto pare, i 5 Stelle. E’ un fatto. Ed è un peccato.
Vedremo se il capo dello Stato, Sergio Mattarella, terrà conto dei loro mal di pancia, o darà una nuova chance al premier che da solo ricacciò nel sottosuolo il genio della lampada sovran populista.
Il professor Luciano Canfora, riferendosi al discorso di Conte, ha affermato che da anni non se ne ascoltava in Senato uno di cosi alto profilo e stile. Modestamente, sottoscriviamo.
Certi commentatori della grande stampa, invece, vedono Conte come il fumo negli occhi.
Perché? Ma si capisce: perché è stato sempre uomo dei 5 Stelle. Per quattordici mesi lo avevano dileggiato definendolo un Signor Nessuno e ora lui - ma lo diciamo scherzosamente - ha sconfitto il fascismo da solo, senza bisogno di ricorrere a proclami o firme in calce a grandi appelli. Dobbiamo a Conte la cacciata di Siri e l’aver riportato alla ribalta il caso “Moscopoli” scomparso dalle prime pagine. Non è poco. Conte, con la sua semplice presenza, smuove le acque di certe pozzanghere in cui altri, invece, guazzano a meraviglia.
Un sentire comune, lasciatecelo dire, che sembra riassunto da Emma Bonino quando rimprovera Conte per i suoi “tardivi ravvedimenti” sul governo. Già.
Meglio la Bonino che, insieme a Marco Pannella, sostennero tutti i governi berlusconiani che si diedero in natura, senza mai una parola di “ravvedimento”? Si ravvedesse la Bonino, invece di cercare la pagliuzza nell’occhio di Conte. C’è un tempo per tutto.
E forse il Pd, se vuole cambiare registro, dovrebbe iniziare a rinunciare a certi compagni di processione, come la Bonino, che non hanno mai giovato alla sua immagine di fronte agli italiani.
Ci sarà tanto lavoro da fare per Nicola Zingaretti.
Gli italiani guarderanno lo spettacolo.
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