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di Saverio Lodato
Corre voce che in un noto foglio stampato milanese, alla notizia della candidatura di Nino Di Matteo, per le elezioni suppletive del Csm, il solito scriba, addentro a cose di mafia e annessi e connessi, sia saltato sulla sedia. Se ne sarebbero sentite le voci sin nei corridoi. Lo scriba è di temperamento assai umorale, e non accetta imprevisti e contrattempi.
Ma come? Ancora Di Matteo? E questa volta si candida addirittura “per dare una spallata al sistema”?; come da lui stesso dichiarato in un’intervista, in questo caso, ad un giornale romano. Non c’è più mondo, avrebbe sibilato sconsolato lo scriba.
Nessuno meglio di noi può comprendere turbamento, sgomento, con annesso mancamento, del noto scriba per il quale - e preghiamo il lettore di crederci - proviamo un pizzico di tenerezza.
Sono anni che lavorava per demolire credibilità, legittimazione e immagine di Di Matteo.
Ricordate?
E Di Matteo non andava bene perché intendeva candidarsi a governatore di Sicilia, quando sembrava che da un momento all’altro stesse per venir giù il Rosario Crocetta, che invece i partiti siciliani, Pd compreso, inchiavardarono sino all’ultimo alla sua poltrona. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E Di Matteo non andava bene perché, intervenendo a un convegno, si era permesso di adoperare parole elogiative su una proposta dei 5 Stelle di contrasto alla corruzione. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E Di Matteo non andava bene perché intendeva, candidandosi, scendere in politica. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E Di Matteo non andava bene perché, a campagna elettorale conclusa, dove ovviamente non si era candidato, si preparava a fare il ministro della giustizia. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E Di Matteo non andava bene perché era in procinto di andare a dirigere il Dipartimento della polizia penitenziaria. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E Di Matteo non andava bene perché aveva aperto bocca in televisione sui retroscena delle stragi di Capaci e via D’Amelio, per altro pubblici e processualmente documentati. Si facesse il magistrato, catoneggiava lo scriba.
E non andava bene neanche questo giornale, sul quale scriviamo, perché di Di Matteo aveva fatto un “santino”.
Attenzione, lo scriba era tutt’altro che solo. Essendo il capo ciurma di uno schieramento tanto ampio, quanto pittoresco, che vedeva (e vede) non solo in Di Matteo, ma in tutti i magistrati per bene (che per fortuna di noi cittadini sono pur sempre alcune migliaia) un argine alla palude dilagante. Quella stessa che è emersa con lo Scandalo Csm che ha reso indispensabili le nuove elezioni in cui si candida Di Matteo.
Diceva lo scriba: Di Matteo si facesse il magistrato. E Nino Di Matteo, candidandosi, non fa altro che “fare il magistrato”. Come la mettiamo?
Non risulterà facile allo scriba argomentare che tutti i magistrati italiani possono candidarsi. Tutti, eccetto il Di Matteo.
Per questo, comprendiamo il suo dramma.
Per questo, proviamo nei suoi confronti un pizzico di tenerezza.
Sotto sotto, lo scriba magari spererà che anche questa volta, come toccò a Giovanni Falcone, il gioco delle correnti bocci la candidatura di Nino Di Matteo. Qualcosa però ci dice che lo scriba si prenderà presto un altro dispiacere. Ma, quantomeno, dovrà attendere in silenzio il verdetto della magistratura italiana. Si vedrà.

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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Imagoeconomica

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