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di Saverio Lodato
Almeno Enrico Mentana ha avuto l’accortezza "anglosassone" di offrire, agli spettatori del suo TG La7, sia l’intervista al sostituto procuratore generale di Genova, Enrico Zucca, sia l’intervista al Capo della Polizia, Franco Gabrielli. Costruite, le due interviste, come un dialogo a distanza fra i due rappresentanti delle istituzioni che, su quanto accadde a Genova in occasione del G8, non se le stanno mandando a dire, al punto da apparire inconciliabili.
È sempre infatti buona regola giornalistica considerare l’ascoltatore capace di intendere e di volere, di sapersi fare un’opinione da solo. Se volessimo addirittura scomodare Platone, diremmo che "l’uomo interrogato bene, risponde sempre bene". Per ciò, giusto è stato mandare in onda entrambe le posizioni.
Invece il panorama che sta offrendo la carta stampata, nel riferire le parole-scandalo di Zucca ("Chi torturò al G8, oggi è ai vertici della polizia. Come possiamo chiedere giustizia all’Egitto sul caso Regeni?"), non solo non ha niente di "anglosassone", ma anzi si avvicina pericolosamente - inquietandoci - al modo di "raccontare" la realtà che è tipico dei media proprio di quei regimi che consideriamo "inferiori" al nostro.
Il fatto, riassunto in due parole, è questo: i gravi episodi di "macelleria messicana", che si verificarono a Genova, non hanno impedito ai funzionari che, direttamente, o indirettamente, con depistaggi e omertà, se ne resero responsabili, di avere poi, a "babbo morto" - come si dice - (a processi finiti, cioè) proseguito, proprio in polizia, le loro luminose carriere.
Il procuratore Zucca, in buona sostanza, ha detto questo.
E il capo della polizia, Gabrielli, altrettanto in buona sostanza, non ci sta, ricordando l’elenco interminabile dei caduti in polizia per mano di terrorismi vari e mafie altrettanto varie. E ha ribadito che l’istituzione da lui guidata ha fatto, al suo interno, tutti i conti che doveva fare.
Posto che le torture ci furono, la domanda è: i vertici della polizia dell’epoca, fecero o non fecero carriera? La carriera la fecero. Eccome. E tutti i protagonisti di quella pagina umiliante della nostra storia, stanno oggi, lì dove stanno, proprio a ricordarcelo. Né - a quanto se ne sa - qualcuno dei responsabili ha fatto anche un solo giorno di carcere.
I giornali, sul punto, usano i condizionali; ma in molti casi attribuiscono quello che è semplicemente un "fatto" (che le torture ci furono), a un'"opinione" di Zucca.
Non possiamo fare a meno di chiederci: è giornalismo questo? A occhio, diremmo di no.
Poi, c’è l’altro capo d’accusa rivolto a Zucca: ma come si permette di paragonare le torture italiane alle torture egiziane? L’Egitto - ci spiegano molti quotidiani - è un "regime totalitario", l’Italia un "paese democratico". Fra tutti, questo ci sembra l’argomento più strampalato.
Cosa si intende dire?
Che lo "status" di paese democratico ci riconosce una facoltà - quella di torturare - che ai paesi che negano i diritti civili non va riconosciuta? Non viene in mente a nessuno che proprio questa dovrebbe essere la "pietra dello scandalo", piuttosto che le parole, aderenti al vero, pronunciate da Zucca?
In sintesi: è reato avere torturato a Genova dei giovani disarmati o è reato dire che a Genova furono torturati dei giovani disarmati? A voi la scelta.
Infine. Come è noto, la Corte europea dei diritti dell’uomo stigmatizzò, a suo tempo, quanto accadde al G8, e con parole durissime. E stiamo parlando della stessa Cedu che condannò l'Italia a risarcire il poliziotto Bruno Contrada che in Italia era stato condannato per mafia e in via definitiva. Bene.
I giornali che oggi fanno orecchie da mercante sul “caso Genova”, sono i medesimi che allora applaudirono la Corte europea sul "caso Contrada". Buffo. Vero?
Diceva Leonardo Sciascia: "L’Italia è un paese senza verità".
Difficilmente, le iniziative contro Zucca, che già si preannunciano del ministro della giustizia, Andrea Orlando, e del Consiglio Superiore della Magistratura, arricchiranno la storia di questa Italia disgraziata di qualche briciolo di verità in più.

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La rubrica di Saverio Lodato

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