Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Saverio Lodato
Che bravo giudice che era quel Giovanni Falcone! Che serietà, che professionalità quando indagava sulla mafia! Come lui non ne fanno più. Si è perso lo stampino di quei magistrati, increduli come un San Tommaso, pronti a mettere in riga i pentiti appena iniziavano a sbrodolare dichiarazioni e accuse e ingiurie a vanvera contro uomini politici, esponenti delle Istituzioni, colletti bianchi e gente del bel mondo.
Ma certo: Falcone voleva le "prove"! Non se le beveva le chiacchiere da caffè.
E se il pentito non era a prova di prove, lui lo rispediva al mittente, nelle patrie galere, dove meritano di stare - e restare - i mafiosacci, soprattutto quando infangano le persone per bene.
I giornalisti delle scuderie berlusconiane, in questa fine del 2017, hanno avuto parecchio da sgobbare alle tastiere. E hanno scalpitato parecchio.
Il nome, infatti, del loro padrone, il cavalier Silvio Berlusconi, torna sempre - in proposito per alcuni, a sproposito per altri - in queste maledette interminabili infinite inchieste di mafia. Peggio.
Il nome del loro padrone torna persino nelle indagini sulle stragi '93: corpi, palazzi, musei fatti a pezzi. Ragion per cui, la Procura di Firenze è tornata - ed è la terza volta che accade - a iscriverlo per "Strage", è di Berlusconi che stiamo parlando, nel registro degli indagati. Non è un bello spettacolo. Ma così è.
E non ha potuto farne a meno di fronte al fiume di dichiarazioni del mafioso (che non è un "volgare pentito" bensì un "Signor mafioso") che risponde al nome di Giuseppe Graviano, reuccio di Brancaccio, e che sconta, proprio per strage, i suoi numerosi ergastoli.
Disgrazia vuole, per i giornalisti delle scuderie berlusconiane, che sia stato Nino Di Matteo, pubblico ministero del Processo di Palermo per la trattativa Stato-Mafia, a ordinare di accendere il registratore quando il reuccio di Brancaccio ha dato inizio al suo sfogo. In una parola, lamenta Graviano: noi mafiosi abbiamo fatto il lavoro sporco su sollecitazione di Berlusconi e lui, come ricompensa, adesso ci lascia marcire dietro le sbarre.
Naturalmente, ai giornalisti delle scuderie berlusconiane, non è rimasto altro da fare che scaricare tonnellate di fango su Di Matteo (che loro soffrono come il peperoncino negli occhi), che avrebbe dovuto comportarsi, invece, come quel gran giudice che era Falcone: non credendo a una parola dei deliri del Graviano.
Ma il diavolo, a quanto pare, non disdegna di mettere la coda neanche nelle vicende di mafia.
Ed ecco allora, a venticinque anni esatti dalla strage di Capaci, saltar fuori un bell'appunto di Giovanni Falcone per mettere nero su bianco: "Berlusconi in buoni rapporti con Cinà. Berlusconi da' 20 milioni delle vecchie lire ai Grado, e anche Vittorio Mangano".
Bravo Falcone, bravissimo Falcone, applaudono i giornalisti delle scuderie. Falcone non prestò fede alle parole del pentito Marino Mannoia, durante il cui interrogatorio quell'appunto venne preso dal giudice, del quale oggi si è perso lo stampino.
Visto? A quelle balle spaziali di Mannoia, Falcone non prestò alcun credito. E ora torna alla carica Graviano.
Noi proviamo a immaginarla diversamente. Non è che qualcuno decise di fare saltare per aria Falcone, e subito dopo Borsellino, per impedire loro di indagare sulle origini di Forza Italia?
D'altra parte che ad Arcore ruotasse un ambiente maleodorante lo hanno provato a prova di Cassazione le condanne per Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano.
Falcone e Borsellino, questo è un fatto altrettanto indiscutibile, nel cognome "Berlusconi" si erano abbondantemente imbattuti. E incagliati.
Buttiamola lì: e se anche loro due stessero cercando le "prove"? Le Prove di un coinvolgimento dei fondatori di Forza Italia? Ci limitiamo a intuire, dedurre, almanaccare, visto che un cognome del genere in vicende di mafia e di stragi, per nessuna ragione al mondo sarebbe mai dovuto venir fuori.
O magari, può darsi, può essere, e chi può escluderlo, che qualcuno fece il servizietto sporco di togliere di mezzo quei giudici che rompevano i coglioni convinto di fare cosa gradita al Cavaliere Berlusconi?
Vai a saperlo.
Ma quanto ci piacerebbe saperlo!

Foto © Ansa

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La rubrica di Saverio Lodato

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos