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borsellino lodato agenda rossa gravianodi Saverio Lodato
La lotta alla mafia con l’“agenda rossa” di Paolo Borsellino e la lotta alla mafia senza l’“agenda rossa” di Paolo Borsellino non è uno scioglilingua. Fra le due espressioni passa infatti tutta la differenza che passa fra chi vuole sconfiggere la mafia in vista di una sua definitiva scomparsa e chi, invece, si accontenta di fronteggiarla all'infinito non trovando niente di strano che con essa si possa e si debba convivere.
L'intera famiglia Borsellino, in questo quarto di secolo che ci separa dalla strage di via d'Amelio, ha ripetuto che nei 57 giorni prima della sua fine, Paolo Borsellino aveva preso l'abitudine di trascrivere nella sua "agenda rossa" gli appunti più delicati sulle indagini scottanti che ormai, vista la scomparsa di Giovanni Falcone, era costretto a portare avanti da solo.
L’“agenda rossa” non è mai stata ritrovata. L'argomento fu affrontato nei diversi tronconi processuali che sin qui si sono celebrati a Caltanissetta, con la conclusione, però, che tutte le persone chiamate in ballo a vario titolo furono alla fine scagionate dall’accusa di avere dolosamente occultato l’“agenda rossa”. Difficilmente, venticinque anni dopo, assisteremo a colpi di scena, a improbabili ritrovamenti.
All'“agenda rossa” si richiamano i giovani di tutt'Italia che ogni anno si riversano a Palermo per tornare a chiedere verità e giustizia sulla strage del 19 luglio. Sull'“agenda rossa” sono stati scritti libri, valanghe di articoli, messe su trasmissioni televisive. Perché, pur non essendo mai stata trovata, assume un valore simbolico così devastante?
Secondo i minimalisti della materia sarebbe presto detto: è un piatto troppo ghiotto perché i dietrologi di ogni specie ci possano rinunciare. Troppo bella questa storia, incalzano i minimalisti, per non essere vera. E così i dietrologi possono essere serviti. Quanto a loro, è sempre dei minimalisti che stiamo parlando, il teorema vincente suona così: l’hanno cercata, non l'hanno trovata, ecco dunque la prova che l'“agenda rossa” non è mai esistita.
E così, sia detto en passant, si ripete all'infinito la storia del diario del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, mai ritrovato nella sua cassaforte a Villa Pajno, o quella del diario elettronico di Giovanni Falcone, e del quale furono rese note meno di una mezza dozzina di paginette.
Ma torniamo a oggi. Resta da spiegare come la mettiamo con l'intera famiglia Borsellino che sull'esistenza dell'agenda è pronta a giurare. Ebbero le traveggole negli ultimi giorni di vita di Paolo? Ebbe le traveggole Lucia Borsellino che di quell'agenda chiese conto e ragione al Questore Arnaldo La Barbera che fu plenipotenziario - con quali esiti e con quale scopo si sarebbe capito nei decenni successivi - proprio delle indagini sulla tragedia di via d'Amelio? O i minimalisti pensano che i familiari inventarono di sana pianta questa circostanza solo per il gusto di fare casino? Sul punto, i minimalisti più che glissare, tacciono. Essendo, per loro, un teorema concluso: non è mai sta trovata, non è mai esistita.
Facile a dirsi. Il cuore delle indagini, indagini parziali, su quanto accadde, è infatti tutto qui. Ricostruire dai suoi veri appunti a cosa lavorò il magistrato nei suoi ultimi giorni che lo separavano dalla morte, consentirebbe di gettare luce su quelle responsabilità che non furono solo di Cosa Nostra. Eppure, incredibilmente a giudicare dal tempo che è trascorso, qualcosa si muove.
Appena qualche giorno fa, Alfredo Montalto, presidente della corte d'Assise di Palermo, di fronte alla quale si sta celebrando il processo per la Trattativa Stato-Mafia, ha deciso di acquisire 21 colloqui - sui 32 richiesti dai pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi - fra Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, uno degli ergastolani per via d'Amelio, e il camorrista Umberto Adinolfi, nel carcere di Ascoli Piceno in cui erano entrambi detenuti. E colloqui anche fra il Graviano e la moglie.
Vogliamo dirlo che definirli colloqui scabrosi è poco? Graviano fa riferimenti a più riprese a Silvio Berlusconi dal quale gli sarebbe pervenuta la richiesta di una inquietante "cortesia". Riferimenti a Forza Italia. A Marcello Dell'Utri. A "tavoli" non meglio identificati ai quali lui stesso si sarebbe seduto insieme ai dirigenti "azzurri". E, in generale, il boss di Brancaccio si dice "abbandonato" e "tradito" (è in carcere da 25 anni) proprio da "quelli" che, grazie a lui, fecero le loro ricchezze. Come non bastasse, svela che le guardie carcerarie gli fecero il favore di autorizzare sua moglie ad incontrarlo nonostante fosse detenuto, consentendogli di realizzare il suo desiderio: mettere al mondo un figlio. Sin qui, parole e immagini di Giuseppe Graviano.
Tutto vero? Tutto falso? Un po' dell'uno e un po' dell'altro?
Noi, che se dovessimo scegliere di appartenere al partito dei "minimalisti" o a quello dei "dietrologi", propenderemmo tanto per non sbagliare - visto che siamo in Italia - per il secondo, non ci avventuriamo in giudizi sulle parole del Graviano. Non tocca a noi.
Certo, ci lascia da pensare che il presidente Montalto voglia vederci chiaro, e sino in fondo.
Come ci ha lasciati stupefatti l'atteggiamento di quegli opinionisti antimafiosi che sin dal primo istante hanno sentenziato: Graviano sapeva di essere intercettato. E di quegli altri opinionisti antimafiosi che si sono chiesti, fra il cogitabondo e il dubbioso: chissà se Giuseppe Graviano è davvero "uomo d’onore" di Cosa Nostra.
Coraggio. Un altro passetto in avanti: Graviano sapeva di essere intercettato, non è uomo d'onore, in conclusione: tutto quello che ha detto non esiste. Un po' come per l'“agenda rossa”.
La lotta alla mafia "con" o "senza" l'approfondimento delle frasi di Graviano?
Neanche questo è uno scoglilingua.
E ci conforta che dei colloqui della discordia si discuterà nel processo di Palermo per la Trattativa Stato-Mafia.
Il fatto è che anche noi, come milioni di italiani, ne vorremmo sapere di più sulla tragica fine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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La rubrica di Saverio Lodato

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