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virginia raggi 2di Saverio Lodato
A nostro personalissimo giudizio, l’altra sera, Virginia Raggi, intervistata da Giovanni Floris per La7, ha fatto un figurone. Si è sottoposta a un faccia a faccia serrato. Lungo, per nulla diplomatico, senza sconti, incalzante. Il "caso Roma" è stato sviscerato dalle più diverse angolature. Fatti e interpretazioni, supposizioni e ipotesi, persino molte illazioni che circolano ormai sulla guida grillina di Roma capitale, avvertita da tanti, e temuta da molti, come il probabile antipasto di un’eventuale guida a 5 stelle dell’intero Paese.
C’è da osservare che in questi mesi in cui Virginia Raggi si è ritrovata in cima al Campidoglio, votata dalla stragrande maggioranza dei romani, ha subito un trattamento allo spiedo, vittima di quella rosolatura sapiente di cui sanno dare prova i nostri giornali, i nostri commentatori, e le nostre televisioni, quando si scatena una unanime campagna di regime contro qualcuno o contro qualche forza politica. Ora la Raggi, finalmente, è apparsa, ha preso la parola e ha detto la sua.  
Si è così finalmente percepita questa "diversità" grillina (vera per alcuni, presunta per altri), una diversità che non corrisponde per niente a quell’anatema di populismo che esponenti del vecchio sistema scagliano quotidianamente contro i 5 stelle. Il che non significa che tale "diversità" debba piacere per decreto e la si debba votare per forza. Ma questa è un’altra storia. Vediamo cos’è accaduto.
Dalle buche di Roma alla situazione dei trasporti, dall’immondizia ai tormentoni sulle dimissioni di assessori e funzionari, dall’arresto di Marra allo scandalo per la promozione del fratello di Marra, dalla voragine di debiti alle Olimpiadi mancate, dalle lacerazioni interne al movimento alle fughe della stessa Raggi sui tetti del Municipio al rischio di un avviso di garanzia: le domande di Floris sono state – e in questo caso giustamente, ché un conto è tirare il sasso e nascondere la mano, altro conto giocare con l’interlocutore a viso aperto – ad alzo zero, quasi al limite della pignoleria oratoria, come si dovrebbe fare con ogni politico di ogni schieramento, e quasi di routine.
Insomma, un esempio di tv al servizio del pubblico che vuole farsi un’opinione, anche se questo pubblico non risiede a Roma.  
Con quale risultato?
Che lo spettatore non ha mai avvertito, nelle parole e nelle risposte punto su punto della Raggi, quel retrogusto di politichese che condisce invece la stragrande maggioranza delle pietanze della politica televisiva.
Se poi la Raggi abbia convinto gli ascoltatori nel merito delle singole questioni, non lo sappiamo e ci interessa relativamente.
Di certo la Raggi non ci è parsa un’aliena. Né la condottiera di un movimento barbarico che minaccia le fondamenta della nostra democrazia. Ha riconosciuto, almeno una decina di volte, i suoi errori, non ha cercato attenuanti, né ha colto l’occasione per togliersi sassolini dalla scarpa (presumiamo non siano pochi).
In sostanza: chiede tempo. E il tempo ci dirà se la sua richiesta di tempo ai cittadini si tradurrà finalmente in fatti concreti o, invece, in ulteriore perdita di tempo. Nel qual caso, saranno i romani a dire la loro. Ma intanto la Raggi, efficacemente, ha spiegato che la macchina-Roma non è ancora partita perché i partiti che l’hanno preceduta si erano portati via il volante, il motore e la cloche. Come darle torto?  
‏Ci aspettavamo bei titoloni su questo che comunque lo si valuti resta un interessante evento mediatico, magari anche per rimettere in discussione questo benedetto anatema del populismo. Speranze deluse. I menestrelli, a questo giro, hanno preferito fare scena muta.

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La rubrica di Saverio Lodato

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