Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

lodato bn c giorgio barbagallo 2014di Saverio Lodato
Un avvocato del foro palermitano, Marcello Marcatajo, a mezzo servizio delle cosche. E questo lo dicono, sin da ora, le intercettazioni che hanno svelato agli uomini della finanza, che hanno condotto l’"Operazione Cicero", tutte le sue preoccupazioni in proposito.
L’avvocato si autodefiniva "la minna" (il seno) che i mafiosi spremevano quando avevano bisogno di soldi. E l’avvocato del foro palermitano si era fatto immobiliarista per vendere trenta box delle "famiglie" mafiose della borgata marinara dell’Acquasanta di Palermo. Con il piccolo dettaglio che il ricavato della sua intermediazione sarebbe andato, fra l’altro, a costituire il "castelletto" (250 mila euro) servito a reperire sul mercato il quantitativo di tritolo necessario a fare a pezzi Nino Di Matteo e la sua scorta.
Ma allora c’è del vero nel fatto che Di Matteo rischia la vita? Chissà.
Ma allora questo benedetto tritolo da qualche parte è stato nascosto, visto che è stato comperato? Chissà.
Ma allora il CSM rivedrà il suo giudizietto punitivo e sbrigativo sul pubblico ministero palermitano e sulla sua scorta che rischiano di saltare per aria? Chissà.
Ma allora la Commissione parlamentare antimafia vorrà darci un occhio a quest’avvocatura palermitana che una ne fa e cento ne pensa? Chissà.
Ma allora le massime cariche dello Stato, nessuna esclusa, prima o poi si indigneranno anche loro? Chissà.   
Mai dire mai, anche se, come abbiamo scritto recentemente, l’Italia è un paese per mandanti. Abbiate un po’ di pazienza, ma noi la pensiamo così.
Di certo c’è che, per tutte le ragioni elencate prima, l’avvocato Marcello Marcatajo è finito in galera. Alcune considerazioni ora si impongono spontanee.

Intanto, il silenzio di tomba, sull’argomento, dell’avvocatura palermitana. Non un comunicato. Non una dichiarazione. Neanche lo straccio di una presa di distanza, il consueto burocratico avvio di una pratica per il “provvedimento disciplinare”. Possibile che una vicenda del genere sia considerata fatto di normalissima amministrazione? Possibile che gli avvocati palermitani non riescano mai a trovare una via di mezzo fra il suono della tromba e il silenzio della tomba? Certo. Precedente illustri, nell’ultimo trentennio, ce ne sono stati a bizzeffe.
L’avvocato che faceva entrare in carcere siringhe di cianuro per avvelenare boss rivali. L’avvocato che faceva da tramite fra il detenuto e i suoi familiari. L’avvocato che si faceva postino dei "pizzini". L’avvocato che si appellava al "segreto professionale", se veniva pedinato perché andava ad incontrare l’assistito latitante. L’avvocato che acquistava cocaina in conto terzi. Campionario vasto.
Ma in passato, appena una notizia del genere finiva sui giornali, era tutto un levar di scudi di indignazione, di polemiche al calor bianco, di momentanee "crisi di coscienza", all’insegna di "garantismi" e "giustizialismi", minacce di querele da una parte e dall’altra, ma, ad onor del vero, nessuno si sognò mai di far finta di nulla. Tutti riconoscevano la gravità dei fatti contestati dall’autorità giudiziaria e dalle forze di polizia. Oggi i tempi sono cambiati.
Gli avvocati palermitani – questo va detto – non godono più delle parcelle milionarie che arricchirono molti di loro nella stagione dell’oro (per loro), dei maxi processi a Cosa Nostra. Non che oggi siano costretti a mettere insieme il pranzo con la cena, ma i bei tempi sono indiscutibilmente finiti. E quindi molti di loro (ovviamente) si arrangiano. E’ anche per questo che il "caso Marcatajo" sta passando sotto silenzio. Ci si arrangia. Tutto qui. Anche i giornali e le televisioni non si eccitano più di tanto. Anche loro si arrangiano. Tutto qui.
Servono altre "mafie mediatiche". "Tirano" altri scenari, altri "contesti". Anche a tale proposito i tempi sono cambiati.
Un vecchietto centenario, come Procopio Di Maggio, trova divertente festeggiare il suo compleanno a Cinisi, nel paese di Peppino Impastato, a suon di mortaretti e fuochi d’artificio. Perché lo fa?
Lo fa per levarsi lo sfizio. Per chiudere in bellezza. E’ il suo inno alla vita. A una vita mafiosa, s’intende. Ché ognuno - si sa - vive a modo suo.
Ma anche per dire a Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, che il nome dei Di Maggio godrà di maggiore eternità rispetto a quello della famiglia rivale. E i paesani, che disertarono sia il funerale di Peppino, fatto a pezzi da Gaetano Badalamenti, sia il funerale di Felicia, la mamma che sino all’ultimo respiro chiese che fosse scoperta la verità, sono corsi ad abbuffarsi al banchetto in omaggio al vecchietto Procopio, quello che ancora oggi, senza tema di esser considerato un rincoglionito dalla sua comunità cinisara, dice che la mafia non sa cosa sia; lui che ha avuto un figlio vittima di lupara bianca, un altro attualmente al "carcere duro" per mafia, e che fu fedelissimo, nell’ordine, di Badalamenti, Riina e Provenzano, e condannato al maxi processo di Falcone e Borsellino, ma assolto dall’accusa di avere compiuto una ventina di delitti.
Altro che "funerale dei Casamonica", altro che petali di rosa piovuti dal cielo, altro che tiro a quattro, con i cavalli neri, finanziato da un clan di zingari violenti.
La festicciola di Procopio, il vecchietto centenario, è incommensurabilmente, sotto il profilo simbolico, più provocatoria: proprio perché si è tenuta a Cinisi, cuore duro di una mafia che prima di farsi ferocemente "moderna" fu ferocemente "arcaica" e perché quella è la terra bagnata dal sangue di Peppino, dove passato e futuro convivono drammaticamente ancora oggi. Cose di un certo peso.
Sono constatazioni semplici, quelle che abbiamo esposto sin qui. E quasi ci vergogniamo della loro banalità. Di conseguenza, lasciamo ai mafiologi più attrezzati di noi adoperare quelle argomentazioni beatamente garantiste che ci spiegheranno il comportamento dell’avvocato Marcatajo, e quello del vecchietto Procopio.
A noi resta la convinzione che le due storielle parallele altro non siano che la metafora dell’antimafia di oggi, che stenta a trovare una terza via fra il suono della tromba e il silenzio della tomba.

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Gli articoli di Saverio Lodato: Clicca qui!

Foto © Giorgio Barbagallo

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos