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arresto-polizia-eff-rec-lodatodi Saverio Lodato - 12 novembre 2014
Si muovono come ombre, nel cuore della città. Non le vedi, perché le ombre non sai che faccia hanno. Non le vedi perché si muovono alla spicciolata, silenziosissime, anonime, scivolando via al primo segnale di pericolo, alla prima cosa che va storta, che può essere uno sguardo di troppo, un numero di targa che non quadra, un cellulare che non trilla, mentre dovrebbe trillare, una persiana che resta chiusa, una luce che si accende all’improvviso, a notte fonda. Le ombre stanno sul campo sin quando tutto è normale, non ci sono stonature nello scenario dentro il quale si sta indagando, perché, come dice il "decano" delle ombre, bisogna "girare con gli occhi".
Ombre, dunque, arrampicate sugli alberi. Ombre nascoste al riparo di un muro di cinta. Ombre acquattate su un tetto. Ombre pronte a far scattare le manette, a leggere i capi d’accusa, a far fuoco, in nome e per conto di una legge sgangherata, la legge italiana.

Le ombre, però, rischiano la vita in ogni istante della loro vita. La legge italiana sarà anche sgangherata, spesso indifendibile, farraginosa e con troppe cose da farsi perdonare. Ma loro, con una pistola dentro la fondina, la placca d’ordinanza, le notti macinate tirando in lungo, anche quando sarebbe ora di riposo, i posacenere zeppi di cicche, i panini imbottiti addentati nel ricordo dell’ultima cena come Dio comanda, se ne fottono. E infine va detto che le ombre non sono le protagoniste delle fiction di cappa e spada che spopolano in tv, sono infatti uomini e donne, in carne e ossa, il materiale umano di quella Squadra Mobile che ormai, per i sacrifici profusi a difesa del cittadino, e i costi pagati in termine di vite umane sacrificate, è entrato da almeno trent’anni nella leggenda: la Squadra Mobile di Palermo. Valga come avvertenza soprattutto per le nuove generazioni: prima venne la Squadra Mobile di Palermo, poi vennero, quasi a grappolo, le fiction che ad essa si sono ispirate. Ma l’originale autentico resta la prima, le altre, imitazioni sono.
Se volete addentrarvi nello spaccato duro, privo di fronzoli, dove c’è divieto assoluto di "pontificare", meglio essendo parlare di fatti concreti, indizi raccolti, prove investigative, se, dicevamo, volete farvi un’idea di cosa sia stata e continui a essere la Squadra Mobile di Palermo, non avete che da leggere un libro che vi toglierà il fiato: "Cammina stronzo. Sbirri a Palermo", cammina-stronzo-pdicaraedizione "Il Palindromo"; per la collana "E la mafia sai fa male", curata da Giuseppe Enrico Di Trapani, scritto da un poliziotto di vaglia, Piergiorgio Di Cara, oggi diventato vicequestore. Il bello è che Di Cara, non solo si muove bene sul territorio, "girando gli occhi", ma ci sa fare altrettanto bene facendo girare le parole al punto giusto, cosa che gli ha consentito di diventare uno degli autori più affermati di narrativa poliziesca italiana.
Caccia ai latitanti, caccia ai rapinatori, caccia ai trafficanti di droga: Di Cara ha fatto tutto quello che c’era da fare; poliziescamente si intende; sulla strada, si capisce, dove hanno da stare e da muoversi, un po’ per vocazione innata, un po’ per quel maledetto destino che si tirano dietro, tutti gli "sbirri" che si sentono in gabbia dentro una scrivania.
Sarebbe un peccato riassumervi il libro. Ma, se vi va, leggete "Cammina stronzo", e godetevi la danza delle ombre al servizio di una giustizia sgangherata: sono miracoli che solo in Italia possono accadere.

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