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scarpinato-lodatodi Saverio Lodato - 18 settembre 2014
Tornano sempre gli stessi "spettri", per la semplicissima ragione che lo Stato italiano tutto è tranne che una casa di vetro. Roberto Scarpinato, procuratore generale a Palermo, viene minacciato di morte come già, prima di lui, Nino Di Matteo, Teresa Principato, Domenico Gozzo, e l’elenco si allungherebbe troppo andando indietro nel tempo. La minaccia, in questo caso, arriva per lettera anonima, il postino la deposita sulla sua scrivania, dopo aver superato sbarramenti blindati con chiavi e tessere magnetiche. Non incontra ostacoli. Non incontra semafori rossi. Non incontra "pizzardoni" che gli chiedano dove sta andando. E tutto questo, sia detto per inciso, nel palazzo "più blindato d’Italia". Il resto è film già visto.
Nessuno sa nulla. Nessuno ha visto nulla. Nessuno sa spiegarsi il come e il perché. Indagano le scientifiche delle varie armi. Indagano la Procura di Palermo e quella di Caltanissetta. Dicono che la lettera sia dettagliatissima. Che l’anonimo scrivano conosce a meraviglia abitudini di vita, percorsi, orari e sistemazioni logistiche dell’alto magistrato. Non contento della sua esibizione, lascia intravedere di seguire in tempo reale le inchieste vecchie e quelle ancora in gestazione, con annessi contenuti, ai quali si sta dedicando il procuratore generale.  Scatta l’allarme istituzionale. I giornali e le televisioni, che ormai per principio sono svogliati rispetto al "caso – Palermo",  azionano il solito carillon della solita "mafia" che torna a emettere le solite "sentenze di morte".  E anche questo è film già visto.

Quello che sino al giorno prima restava segretissimo, dopo la letterina depositata sul tavolo da lavoro di Scarpinato (un po’ come se la posta che riceviamo la mattina ci venisse fatta trovare sul comò di casa nostra), ora lo è un po’ meno.   
Saltano così fuori i presunti legami del generale Mario Mori con Licio Gelli e con la P.2., con il mondo dell’eversione nera, con il giornale di Mino Pecorelli, di una sua inveterata propensione alle lettere anonime. Insomma si scopre che una gola profonda, nuova di zecca, della quale ormai si conosce l’identità, ci sarebbe andata giù duro nei confronti del carabiniere per anni a capo del il-ritorno-del-principe-art-lodatoRos, il reparto "d’eccellenza" dell’ Arma. Si apprende che sono in arrivo altre carte per il processo  d’appello per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, dopo che in primo grado Mori, insieme al colonnello Mauro Obinu, fu assolto dall’accusa d’aver favorito la mafia. Si profila l’eventualità della riapertura dibattimentale del processo. Insomma. Altri grattacapi per il generale Mori.
Tutto vero? Tutto falso? Noi non siamo in grado di rispondere. Materia incandescente, su questo non ci piove, che finirà al vaglio dei giudici. Perché è scontato che questi scenari finiranno diritti nel Processo sulla trattativa Stato-Mafia che è in corso a Palermo e che, per dirla con Falcone, avrà una sua durata e una sua fine. La miscela, come è facile arguire, è esplosiva quanto mefitica.
D’altra parte, quarant’anni palermitani ci hanno insegnato che quando il gioco si fa duro, arrivano le lettere anonime, le talpe, i corvi, le cimici, i computer manomessi, le informazioni rubate, i giuda, e potremmo continuare all’infinito. Rispetto al passato, c’è di nuovo che una volta al mese vengono dati in pasto all’opinione pubblica brandelli di conversazione di Totò Riina con un par suo della Sacra Corona Unità. Riina, Il Rottame Parlante, parla a reti unificate perché qualcuno ne tira maliziosamente i fili, scrivendogli copioni e battute. Cerchiamo di concludere.
Chi è entrato nella stanza di Scarpinato, facendo girare la chiave nella toppa, non è un mafioso. Non è un boss, non è un picciotto. Chi ha scritto la lettera di minacce di morte, non è un boss, non è un picciotto. Chi si occupa delle inchieste di Scarpinato, da esse sentendosi toccato e insidiato, non è un boss, non è un soldato di Cosa Nostra, non è un mammasantissima.
L’Incappucciato che può entrare, non visto, nei Sancta Sanctorum del Potere, appartiene a quello che, da un po’ di tempo in qua, mi permetto di chiamare lo Stato-Mafia, complementare, simbiotico alla Mafia-Stato.
Come faccio a saperlo? A esserne così sicuro?
Ma signori, si capisce.
Solo gli idioti non lo capiscono.
Gli altri, i funzionari in malafede, quelli che aprono le porte con le chiavi d'ordinanza, in ossequio agli "ordini romani", non fanno una piega. E fanno finta di non capire.

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