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il-botto-finaledi Saverio Lodato - 27 giugno 2014
Il protagonista principale della storia che stiamo per raccontare si chiama Francesco Cavallari, ha 76 anni, è stato un imprenditore d’eccellenza, è caduto da tempo in bassa fortuna, ragion per cui la moglie, a suo tempo - come lui stesso ha raccontato in una intervista a Repubblica Bari (8 maggio di quest’anno) -, chiese il divorzio. Cavallari, finì in carcere perché accusato di avere “stretto un patto scellerato con gli ambienti malavitosi locali” e di un altro rosario di reati che, in casi del genere, vengono a seguire; pur di uscire dalle patrie galere, scelse di patteggiare la pena. Da tempo gestisce una gelateria a Santo Domingo, dove, però, non arrivò mai da latitante, avendo chiuso quei conti con la giustizia che lo aveva definito "mafioso". Lì avrebbe appreso, due anni dopo il suo arrivo, che i trenta coimputati che a lui avrebbero fatto riferimento nella piramide criminale e mafiosa, erano nel frattempo stati assolti - e senza eccezioni - attraverso tutti e tre i gradi del giudizio.
Ma vediamo cosa aveva rappresentato, in Puglia, Cavallari. Trent’anni fa - all’epoca dei fatti - gestiva l’impero della Sanità in Puglia (undici cliniche private, per le più diverse specializzazioni) avendo messo in piedi - e inevitabilmente, verrebbe da dire, vista la parabola ripetuta che storie del genere registrano nel cono d’ombra del Sud, ma anche a Milano, dove Formigoni docet -, una gigantesca macchina clientelare alla quale si rivolgevano tutti, dai politici ai sottoproletari di Bari vecchia, quando si era ancora in prima repubblica e si facevano i conti in lire. La torta era grossa e l’occasione troppo ghiotta: nell’"impero Cavallari" lavorarono infatti, negli anni del massimo splendore, oltre quattromila persone.

Correvano i primi anni ’90. E come per tutte le macchine della sanità - uniche cattedrali nel deserto in regioni dove spesso non c’è altro -, alla fine emerse uno spaccato in base al quale gli inquirenti non separarono le assunzioni clientelari dalle nomine pilotate di professionisti, le raccomandazioni per gli interventi di eccellenza dagli autentici favori fatti ai clan che avevano messo la greppia gestita da Cavallari in cima ai propri interessi con conseguente spartizione di posti di lavoro. E il comune denominatore - per gli imputati - fu considerato la mafia.
Tutto questo è raccontato in un libro, miscellanea di atti giudiziari e difese accorate, testimonianze di fedelissimi e “Je accuse” per anni e anni inascoltati - scritto da Antonio Perruggini, rimasto legato a Cavallari nella buona e nella cattiva sorte, anche lui manager della sanità, coinvolto nei fatti ma scagionato sin dalle prime battute della vicenda giudiziaria.
Il libro s’intitola "Il botto finale"; riferendosi alla sentenza definitiva della Cassazione che in effetti, negli ambienti giudiziari e politici pugliesi, un certo "gran botto" lo ha fatto, avendo assolto dal reato di associazione mafiosa tutti gli imputati dell’"affaire" di allora. A finire nel tritacarne della Suprema Corte (con provvedimento in data 22 febbraio 2011) le ipotesi accusatorie di un pool di pubblici ministeri che, con il senno di poi della Cassazione, provocarono  arresti e misure patrimoniali ingiustificati.  
La Cassazione, a proposito dell’accusa per mafia, ha dichiarato inammissibile l’ultimo ricorso della Procura confermando il primo e secondo grado che si erano conclusi con assoluzione. Parole definitive che hanno chiuso per sempre il caso.
Concludendo, a proposito del titolo del libro di Perruggini. "Gran botto" regionale, ma semplice "rumore di sottofondo", a voler giudicare dalla flebile eco che i fatti - inquietanti, e che dovrebbero invece interrogare tutte le persone dotate di un minimo di coscienza "garantista" - hanno avuto a livello nazionale dalla grancassa dei media, giornalistici e televisivi.
Ne abbiamo voluto scrivere in questo tempo di "garantismo forcaiolo", ché molti straparlano a processi aperti, salvo poi, come in questo caso, tener la bocca cucita: per "ragion di Stato"?, per "ragion di partito?", per "ragioni elettorali"? Vai a sapere.
I pubblici ministeri possono sbagliare. I "mostri" giudiziari di ieri possono diventare oggi le "vittime certificate" dell’errore giudiziario, come nel caso del "gelataio di Santo Domingo". La giustizia terrena tutto è tranne che "perfetta". Ma oggi parlare di Francesco Cavallari, che ha già detto ai giornali di voler tornare in Italia pretendendo risarcimenti milionari in forza di un’assoluzione arrivata ora che le sue cliniche da tempo sono state mandate in malora dallo Stato, è scomodo e imbarazzante. Il "suo" impero sanitario fu sottoposto a confisca.
Per ciò abbiamo voluto scriverne. Per ciò abbiamo voluto rendere meno flebile, anche se di poco, l’eco di cui dicevamo. Gran parte del merito va all’avvocato Patrizia Aucelluzzo del Foro di Palermo, la quale, in quanto referente siciliana dell’associazione nazionale "Progettoinnocenti", venuta in possesso de "Il Botto finale", ha pensato di farcelo leggere. Come si può vedere, le strade di un "garantismo" autentico possono essere infinite.

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