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Il libro-intervista del giornalista e scrittore Saverio Lodato all’avvocato Luigi Li Gotti

Dalla penna di Saverio Lodato, giornalista e scrittore, nasce un nuovo volume che si aggiunge alla sua produzione di opere che intrecciano giornalismo d’inchiesta e narrazione storica.
L’opera intitolata “Stragi d’Italia. Il caso Almasri e tutto quello che Giorgia Meloni e il governo non vogliono ammettere” (Ed. da Fuori Scena) è concepita per le giovani generazioni ed è destinata a lasciare un’impronta nella memoria collettiva, raccoglie le parole dell’avvocato Luigi Li Gotti, figura di spicco nel panorama giuridico italiano, il cui contributo al diritto e alla verità storica merita una presentazione accurata. Chi è Luigi Li Gotti? Avvocato penalista di grande esperienza, si è distinto per il suo impegno nella difesa dei collaboratori di giustizia, un ruolo tanto delicato quanto cruciale nel contrasto alla criminalità organizzata. La sua carriera, costellata di battaglie legali contro le ingiustizie marchiate con lo stemma dello Stato, lo ha visto protagonista in casi emblematici, come quello di Almasri, dove ha denunciato gravi errori giudiziari da parte di questo governo fascista, e nella strenua opposizione ai tentativi di sequestro dei beni dei pentiti, un’azione che ha messo in luce le contraddizioni di un sistema spesso ostile a chi sceglie di collaborare con la giustizia. Al di là della sua attività forense, Li Gotti ha lasciato un segno anche in ambito politico, ricoprendo il ruolo di senatore e contribuendo a dibattiti cruciali sulle libertà civili e la trasparenza istituzionale. Non è un semplice avvocato, né un politico convenzionale: è un intellettuale del diritto, un instancabile cercatore di verità, capace di smascherare le storture di un apparato statale che, in taluni casi, ha tradito i suoi stessi principi. Questo libro è stato scritto, scrive Lodato nel capitolo di apertura, "perché assistiamo al moltiplicarsi da parte del governo di atti di censura e di compressione delle fondamentali libertà costituzionali; all’erosione lenta, ma costante, di principi che da decenni sembravano definitivamente riconosciuti; allo stillicidio di dichiarazioni rilasciate con l’intento di far capire alla popolazione che all’epoca dei governi ha fatto seguito l’epoca del comando". Lodato scrive anche delle stragi di Stato sottolineando come "nello stragismo italiano si avverte – e sono gli storici innanzitutto a segnalarla da tempo – una ‘matrice nera’. Un filo nero il cui principio risale alla Repubblica sociale di Salò e che, in maniera carsica, è arrivato sino ai nostri giorni. Matrice non unica, certo. Comprimaria spesso di altre matrici, di diversi orientamenti, alimentati da interessi di Paesi stranieri e di servizi segreti deviati di casa nostra". Senza contare che il nostro Paese "fa la guerra ai magistrati e non ai mafiosi. Solo in alcune autocrazie chi sta in alto pretende di riformare il funzionamento della giustizia, entrando in rotta di collisione proprio con gli operatori del diritto.
Quanto più il magistrato indaga, cerca la verità, intende provare eventuali responsabilità dei cosiddetti ‘colletti bianchi’, tanto più risulta indigesto. Il tutto, ricordiamolo ancora una volta, all’insegna di quella regola cui si faceva riferimento all’inizio: lasciare il minor numero di tracce possibili. Anche su tutti questi aspetti l’avvocato Li Gotti, nel libro, esprime il suo duro punto di vista".
 

La storia d’Italia scritta dai servizi segreti?

"C’è una domanda che mi martella nella testa (chiede Li Gotti a sé stesso): la storia d’Italia l’hanno scritta forse i servizi segreti? È un caso che li si incontri sempre nelle trame delle terribili vicende che hanno insanguinato il nostro Paese, devastandolo? Nelle vicende di piazza Fontana, nello stragismo mafioso, nel depistaggio su via D’Amelio, nella strage di Capaci, nella trattativa Stato-mafia".
In questo capitolo Li Gotti affronta il tema delle stragi di Stato definendolo "un inquietante e oscuro capitolo che segna la nostra storia contemporanea. Capitolo che si è concatenato, senza cesure, decennio dopo decennio, legato da fili che sono apparentemente differenti." "L’Italia - ha aggiunto - non si è fatta mancare nulla quanto a terrorismo stragista mafioso e politico, a omicidi cosiddetti eccellenti, a depistaggi, misteri, progetti revisionisti e di addomesticamento per finalità politiche. Non esiste nessun altro Paese in Europa con un simile bilancio nelle pagine della sua storia dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi."
"Interrogato a New York, Francesco Marino Mannoia utilizzò l’espressione ‘le onde dell’Atlantico portano lontano’ per intendere che gli Stati Uniti erano fortemente ostili a La Torre a causa delle sue battaglie contro la base di Comiso”.
Per non parlare di Antonino Gioè, esecutore della strage di Capaci: “Dalle indagini, risulta che dal telefono clonato in uso al Gioè furono effettuate il 23 maggio, poco prima della strage, avvenuta alle ore 17.57, due chiamate all’utenza telefonica 0016-127774690, sita in Minnesota, negli Stati Uniti. La prima telefonata alle ore 15.38, per un totale di 23 scatti, la seconda alle ore 15.43, per un totale di 522 scatti. Chi era il ricevente di tali importanti chiamate? Come si spiega che i Carabinieri di Altofonte, con nota dell’8 agosto 1967, abbiano attestato che il Gioè, sebbene figlio di un noto pregiudicato mafioso più volte tratto in arresto, era ritenuto ‘giovane [che] offre fiducia per la sicurezza, considerato idoneo a disimpegnare particolari incarichi di natura riservata’? Quali incarichi di natura riservata furono affidati al Gioè? Furono incarichi analoghi a quelli affidati a Paolo Bellini, con il quale il Gioè interloquì ripetutamente nel 1992? Chi erano gli uomini dei servizi segreti che Francesco Di Carlo, boss di Altofonte detenuto in Inghilterra, poi divenuto collaboratore di giustizia, mise in contatto con Antonino Gioè, dopo che costoro gli avevano chiesto di entrare in contatto con i vertici di Cosa Nostra per un piano diretto a eliminare Falcone? Il Di Carlo ha identificato tra costoro Arnaldo La Barbera, di cui è stato accertato il rapporto parallelo con i servizi segreti, con il nome in codice Rutilius. Esiste una connessione tra questa richiesta di La Barbera e il suo successivo ruolo nel depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio? Perché l’Autorità giudiziaria inglese non ha fornito la propria collaborazione in sede di rogatoria internazionale per fare piena luce su tale episodio?”


stragi ditalia fr int 
 

La vicenda Almasri: vergogna di Stato e di Governo

L’intervista condotta da Saverio Lodato si snoda con una precisione chirurgica, esplorando temi complessi e dolorosi della storia italiana; si parte con l’attualità con il caso della liberazione del torturatore e criminale internazionale Osama Almasri. Li Gotti l’ha definita “una violazione delle regole e, quindi, un atto di per sé gravemente dirompente. Fatto di cronaca eclatante, scandaloso, abnorme per forma e sostanza" in quanto il suddetto era stato colpito da un “mandato di cattura della Corte penale internazionale, in quanto accusato di tremendi crimini nella gestione dei centri di detenzione libici, ove sostano bambini, donne, uomini che scappano dalle guerre, dalla fame e dalle malattie, con il sogno di una vita degna di essere vissuta. Quella del generale Almasri, che violenta sessualmente un bambino di cinque anni, tortura e stupra donne, riduce in schiavitù e uccide decine di persone, secondo quanto dice l’accusa, è un’immagine che non può non scuotere profondamente l’animo di ciascuno di noi". Ma perché Almasri è stato riportato in Libia?
"Perché il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha dato il via libera alla consegna, così come prevede il diritto internazionale, ossia la regola che il nostro Paese ha solennemente sottoscritto – ha incalzato - A sua volta, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrebbe autorizzato – come prevede la legge ma con un presunto abuso di potere, in quanto non sono state date motivazioni adeguate e scritte a giustificazione di un tale provvedimento – il volo di Stato con un aereo dei servizi segreti, con delega assegnata al sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano. Questi sono i fatti, non c’è nessuna forzatura" ha detto Li Gotti specificando che "l’Italia era obbligata a consegnare il generale Almasri alla Corte penale internazionale”. Siamo in presenza, quindi, di una limitazione della nostra sovranità popolare dato che i governanti hanno deciso di mettersi al di sopra della legge. Si tratta di una vicenda che non ha precedenti: "È la prima volta che accadde" ha spiegato, "non esistono precedenti di un simile sfregio al nostro ordinamento, paragonabili al caso del generale libico rimesso in libertà. E a opera dei vertici del potere esecutivo, per di più. Cosa ha voluto comunicare il governo ai cittadini attraverso questo gesto? Qual è stato il messaggio di fondo? Che il potere può violare la legge e un attimo dopo autoassolversi."  Il legale, dopo aver visto questo scempio, ha denunciato altissime cariche governative, Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Piantedosi e Mantovano ipotizzando il reato di favoreggiamento (nel 2022, nella norma è stato inserito come oggetto passivo del reato anche la Corte penale internazionale) e il peculato. Il dossier, inviato anche alla procura di Roma territorialmente competente, è ora sul tavolo del Tribunale dei ministri che dovrà decidere se autorizzare la magistratura romana, diretta dal procuratore Francesco Lo Voi (finito anche lui nel calderone degli attacchi governativi) a procedere con il processo.
Se il Parlamento li salverà – ha commentato l’avvocato a Saverio Lodato - sarà una vergogna indelebile a livello internazionale. Altrettanto avverrà andando avanti la richiesta del procuratore generale della Corte penale internazionale di deferimento all’Onu, perché l’Italia ha troncato la tradizionale definizione d’essere la patria del diritto”.
 

La Trattativa che ci fu

Nel corso dell'intervista a Saverio Lodato Li Gotti ha parlato anche della Trattativa Stato-mafia, la nota indagine giudiziaria, successivamente sfociata in un processo, avviata dalla Procura di Palermo con Antonio Ingroia (all'epoca procuratore aggiunto, oggi avvocato) e Nino Di Matteo, attualmente sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del CSM, che ne è divenuto il simbolo assieme ai colleghi del pool.
Li Gotti nello specifico ha accontando una parentesi che "smentisce la sentenza della Cassazione al riguardo”.
Nel 2010 – ha raccontato - in Commissione antimafia, il senatore Nicola Mancino, rispondendo a una mia domanda, affermò che lui era a conoscenza, nel 1992-93, di una frattura dentro Cosa Nostra con due linee, una stragista e l’altra dialogante. Gli contestai che questo elemento all’epoca era sconosciuto, in quanto solo con le dichiarazioni del collaboratore Salvatore Cancemi si apprese dell’esistenza delle due anime. Dopo alcuni giorni, Mancino mi scrisse per confermarmi che lui lo sapeva e che lo aveva già dichiarato ai giornali, allegandone le copie. È di interesse la lettera che mi scrisse il 16 dicembre 2010". La sentenza della Cassazione, quindi, “non ha preso in considerazione ciò che aveva riferito il ministro dell’Interno Mancino. Questa è invece una prova chiara e diretta che la minaccia arrivò a destinazione, altro che affermare che non esisterebbe la prova della veicolazione della minaccia." La narrazione che vorrebbero far passare è quella di uno Stato pulito, che non trattò con cosa nostra e che Paolo Borsellino "non fu tenuto all’oscuro di nulla. Eppure, il 25 giugno 1992, quando Mori e De Donno si incontrarono con Borsellino, nulla gli dissero della trattativa con Ciancimino, anche se due giorni prima, ossia il 23 giugno, De Donno si era recato al ministero della Giustizia per chiedere una copertura politica ai contatti avviati con lo stesso. Dovremmo credere che si trattò di un’iniziativa solitaria di De Donno?".
 

La commissione anti-Scarpinato che non cerca la verità

Come se non bastasse nella legislatura attuale la commissione antimafia ha scelto di indagare sul fenomeno in maniera spezzettata scegliendo "come obiettivo principale la strage di via d’Amelio, conferendole visibilità e spazio per rimettere in discussione i pochi punti fermi acquisiti. Addirittura, attraverso l’audizione del generale Mario Mori, ex comandante del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell’Arma dei Carabinieri” già protagonista della mancata perquisizione del covo di Riina e della mancata cattura di Bernardo Provenzano. La Commissione antimafia guidata da Chiara Colosimo ha continuamente ignorato “tutte le richieste di audizioni inoltrate, attraverso un documento analitico dal senatore ed ex magistrato Roberto Scarpinato e, addirittura, presenta una proposta di modifica della legge istitutiva della Commissione. A quale scopo? Per escludere dalla stessa Scarpinato e Federico Cafiero de Raho, poiché in preteso conflitto d’interesse, essendo stati procuratore generale di Palermo e procuratore generale alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa)." "Dunque, qui si parla di conflitto d’interessi. Che però non vale nel caso della nomina a presidente della Commissione antimafia di Colosimo, parlamentare appartenente alla cerchia ristretta della presidente del Consiglio. La stessa Colosimo che, a gennaio 2014, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook una propria foto (fatta sparire nell’aprile 2023, poco prima della sua nomina a presidente della Commissione antimafia, ma inutilmente, perché nulla si cancella dalla rete) seduta con l’ex membro dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), gruppo terroristico di estrema destra, Luigi Ciavardini. Quest’ultimo, ricordiamo, condannato per la strage di Bologna. Per aver richiamato, durante un breve intervento su La7, ospite a Otto e mezzo di Lilli Gruber il 23 ottobre 2024, questo precedente e per aver stigmatizzato il rifiuto in blocco delle richieste di indagine di Scarpinato, lei stesso, Lodato, è stato querelato dall’onorevole Colosimo. Come si diceva, insomma, la politica non risponde sui fatti. Querela chi li menziona". "Ebbene, pur con tutto il rispetto possibile per la Commissione antimafia, mi chiedo se si tratti di una commissione d’inchiesta o d’insabbiamento, oppure ancora di un comitato di celebrazioni", ha raccontato Li Gotti.
 

Nuovo fascismo, nuova Resistenza

Oggi, ha detto Li Gotti nell’intervista a Lodato, "c’è un nuovo fascismo ingordo di potere, di fronte al quale la democrazia arretra. Il nuovo fascismo ha già cominciato a riscrivere la storia, mascherandosi con le menzogne e il veleno delle ricostruzioni alternative, confondendo, mistificando, omologando. La nostalgia del fascismo è una realtà, sia pure non da grandi numeri. Anche se, per la situazione elettorale che si è venuta a creare, anche i piccoli numeri contano." "Il nuovo fascismo è, quindi, conquista di potere ed esercizio dello stesso. È un ‘colpo di Stato’ strisciante attuato con le menzogne, con le caselle istituzionali occupate da propri uomini. In Italia come in Europa. In alcuni Paesi funziona meglio, in altri meno. Ma la tendenza è quella." Un passaggio argomentativo cruciale quest’ultimo di Li Gotti; un monito per nuove generazioni, un invito a conoscere un’Italia segnata da stragi impunite, da verità nascoste e da un sistema politico che, nonostante il coraggio di alcuni magistrati, non ha mai pienamente voluto identificare i veri mandanti esterni di quei tragici eventi. Le stragi di Capaci, via d’Amelio, Firenze, Milano e Roma – solo per citarne alcune – rimangono ferite aperte, simboli di un Paese che, troppo spesso, ha preferito l’omertà istituzionale alla giustizia. Un nodo cruciale dell’intervista emerge nella “domanda delle domande”: sono stati i servizi segreti a partecipare alle stragi che hanno insanguinato l’Italia? A scrivere la storia del nostro Paese?
La risposta è tanto ponderata quanto inquietante. Attraverso un’analisi rigorosa, l’avvocato enumera una serie di episodi – dalla strage di Piazza Fontana a quella di Bologna, fino agli eccidi mafiosi degli anni Novanta – in cui la presenza di elementi legati ai servizi segreti italiani, e non solo, appare innegabile. Alcuni di questi personaggi agivano ufficialmente, come nel caso di funzionari di polizia corrotti, mentre altri emergevano dalle ombre delle indagini, suggerendo un coinvolgimento più ampio e strutturato. Questa tesi l’abbiamo spesso riproposta nelle nostre conferenze e le parole di Li Gotti portano ulteriori conferme.
La consapevolezza di vivere in un Paese che, in taluni frangenti, ha subito l’influenza di “imperi” stranieri si traduce in una tristezza profonda. Perché leggere questo libro? Quest’opera non è solo un esercizio di memoria storica, ma un atto di resistenza culturale. È un invito ai giovani a non accettare passivamente le narrazioni ufficiali, a interrogarsi sui silenzi di un Paese che ha conosciuto troppe stragi irrisolte.

Elaborazione grafiche by Paolo Bassani

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La rubrica 
di Saverio Lodato

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