“Una prima domanda che io vorrei fare ad alta voce a tutti noi è questa. Vogliono nascondere quello che accadde in via d'Amelio? o vogliono nascondere la storia degli ultimi 70 anni della Repubblica Italiana. Perché questo è il punto e questo è quello che fa la differenza”. Con questa domanda pilota il giornalista Saverio Lodato ha dato incipit alla sua arringa, a conclusione del convegno "Strage Borsellino: tutta la verità!", che ha visto centinaia di persone affollare Villa Trabia, a Palermo. “Vedete solo una mente perversa molto raffinata poteva ritenere che esistesse una commissione parlamentare d'inchiesta per la prima volta dopo 70 anni che sin dall'inizio ha dichiarato di voler indagare su una strage sola, solo sulla strage di via D'Amelio”, ha proseguito Lodato, denunciando con tagliente amarezza il tentativo sistematico – da parte di questo governo – di isolare, appunto, la strage di via D’Amelio da tutto il contesto che la precede e la segue, riducendola a un fatto di “bassa macelleria criminale”, svuotato di ogni portata storica e politica.
“E badate bene, non si è occupato di altro correndo anche il rischio del ridicolo, perché è fin troppo ovvio che prima del 19 luglio ci sono i 57 giorni di isolamento di Paolo Borsellino, e che prima dell'isolamento di Paolo Borsellino c'è la strage di Capaci, e che dopo Via D’Amelio arriveremo a Roma, Milano e Firenze”. Il tentativo chiaro è stato quello di occultare l’indicibile trama delle stragi che hanno insanguinato per anni la nostra Repubblica. “Se noi esaminiamo questo atteggiamento politico, capirete che abbiamo la risposta alla mia domanda iniziale: si deve nascondere la storia del Paese”. Lodato si è soffermato sul ruolo di Giorgia Meloni e sulla presidenza della Commissione Antimafia affidata a Chiara Colosimo. “Una è la dichiarazione che fa (la presidente del Consiglio) rispetto alla strage di Bologna quando, a una domanda sull'esistenza di una pista nera, lei risponde: ‘E se i giudici si fossero sbagliati?’. Il secondo passaggio è imporre una signora apparentemente sconosciuta, Chiara Colosimo, come presidente di quella commissione, nonostante salti fuori del suo rapporto con Ciavardini, condannato per la strage di Bologna. Un’operazione politica, secondo Lodato, che non è stata affatto casuale. “Già in quell'occasione Salvatore Borsellino e tutta l'associazione dei familiari delle stragi di Bologna avevano fatto una levata di scudi fortissima, dicendo: non è opportuno che vada a dirigere la Commissione Antimafia una signora che ha di questi rapporti con un condannato in via definitiva per la strage di Bologna. Non c'è stato niente da fare”. 
Il cerchio, per Lodato, si è chiuso con la dichiarazione più significativa della Meloni sul tema delle stragi. “La sua dichiarazione sulle vittime della mafia si racchiude in un nome, Paolo Borsellino. Perché lei dice: io scesi in politica il giorno in cui venne assassinato”. E poi, la stoccata finale: “Non me ne abbia l’onorevole Meloni se sbaglio, ma non credo di sbagliarmi: lei non ha mai pronunciato il nome di Giovanni Falcone, non ha mai pronunciato il nome di tutte le altre vittime di mafia. Cosa ci dice questa apparente sottigliezza terminologica?". Il giornalista ha poi rievocato la decisione di concedere 6 giorni di lutto nazionale a Silvio Berlusconi. Una scelta che è andata al di là di ogni protocollo istituzionale. “L'unico statista italiano che ha avuto sei giorni di lutto nazionale si chiama Silvio Berlusconi, per volontà esclusiva di Giorgia Meloni, alla quale nessuno lo aveva chiesto. Neanche i familiari, devo dire timidamente, si sarebbero accontentati di un giorno e mezzo”.
Onorificenze di Stato che Lodato ha giudicato politicamente rivelatrici. “E allora questo è un altro di quei fatti che uno dice: ma perché? Perché? Perché se l’avesse fatto un ministro di Forza Italia, uno proveniente da quell'entourage che aveva fatto parte della corte di Berlusconi, ancora ancora si capirebbe. Ma perché una come Giorgia Meloni, a capo dei Fratelli d'Italia, decide di fare questa scelta? ...Ci dice che è una statista. La statista che viene da un vecchio mondo”.
Quel “vecchio mondo” ha un nome, una genealogia, una trama precisa. Lodato l’ha ricostruita con precisione chirurgica: “Un mondo che risale all’immediato dopoguerra. De Magistris nel suo intervento ha fatto il nome di un personaggio che forse molti di voi non conoscono: Federico Umberto D’Amato, che fu il responsabile dei servizi riservati italiani. L’antesignano di tutti i servizi segreti che poi, per 50 anni, ad ogni scandalo, avrebbero dovuto cambiare nome”. D’Amato, secondo Lodato, è la chiave per capire i legami oscuri tra potere, servizi e strategia della tensione. “Questo signor D’Amato, considerato la spia intoccabile, uomo a quanto pare di rarissima intelligenza, lavorava a stretto contatto di gomito con James Jesus Angleton, il capo della CIA in Italia per 30 anni, dall’immediato dopoguerra fino alla metà degli anni ’70”. Lodato ha raccontato anche la parabola discendente di Angleton: “Quando poi diventò pazzo, ossessionato dai servizi segreti, andò in America e gli stessi americani lo cacciarono via dalla CIA. Ma prima di allora aveva costruito un asse stabile tra servizi americani e italiani, alimentato da un comune retroterra ideologico e strategico: l’anticomunismo”. Ed è proprio qui che Lodato ha affondato il colpo. D’Amato “non lavorava solo con Angleton, ma con tutti coloro che erano reduci dalla Repubblica Sociale Italiana, dalla Repubblica di Salò. E tutto questo si teneva in nome dell’anticomunismo, che in quegli anni era il cemento che univa servizi, potere e istituzioni nel nostro Paese”. 
Saverio Lodato con Salvatore Borsellino
E allora, si è chiesto il giornalista, “è un caso se la storia di Angleton, la storia di D’Amato, la storia di quel fascismo traghettato nella nuova Repubblica, contrassegnato dallo stragismo nero, va avanti per 20, 30 anni? Voi direte: ma chi dice che vengono da Salò? Vengono da Salò perché Salò aveva un apparato di sicurezza. Aveva i servizi segreti”. La conclusione è stata una denuncia lucida: il fascismo sopravvissuto, l’anticomunismo come alibi, la continuità dello Stato profondo che attraversa le stragi, da Bologna a Capaci, da via D’Amelio a Roma, Milano e Firenze. E in questa continuità, secondo Lodato, Giorgia Meloni non è stata una semplice erede, ma un’artefice consapevole. “È una statista. Sì. Ma di quale Stato? Ora diremo di quale Stato”. 
Un sodalizio che si è intersecato drammaticamente con l’apertura della stagione stragista che è iniziata con Portella della Ginestra. Gli archivi desecretati della CIA hanno rivelato che “una pattuglia di quegli uomini che Angleton aveva reclutato tra le file della Decima Mas e nella sbirraglia fascista, sbarca a Palermo in anticipo su quel Primo Maggio”. Un cablogramma datato 12 febbraio 1946, firmato dall’allora capo dell’OSS richiedeva “immediatamente di almeno dieci agenti per aprire basi a Napoli, in Sicilia, a Bari e a Trieste. Devono essere sottoposti ad un addestramento intensivo... Servono per operazioni militari”.
La conclusione è stata chiara: il fascismo sopravvissuto: “Interviene l’amnistia nell’immediato dopoguerra, voluta da Palmiro Togliatti dal Partito Comunista di allora. Si decide che quella parentesi va chiusa, quella del fascismo. E D’Amato non trova niente di meglio da fare che riciclare tutti quei funzionari che venivano da Salò, ai vertici di tutte le questure italiane più rappresentative”, ha spiegato Lodato.
È stata una scelta cruciale, che ha segnato il volto della Repubblica Italiana nei decenni a venire. “Quei funzionari saranno operativi negli anni ‘50 e ‘60, negli anni di Tambroni, di Scelba, dei massacri contro gli operai, dei morti dell’8 luglio ’60 a Palermo, Reggio Emilia, Genova. È una storia che va avanti in questo modo".
Poi è arrivata un’altra questione che ci ha riportato ai nostri giorni e ha coinvolto direttamente la posizione del nostro Paese rispetto al genocidio palestinese: “C’è un terzo lato del triangolo, che viene poco detto. E che forse serve anche a capire perché Giorgia Meloni sia così ligia agli ordini di Trump e di Israele".
Ed ecco che Lodato ha rievocato un’altra fetta di storia sottaciuta da decenni che riguarda la fondazione dello stato, patria del sionismo.
“Nel 1945 arrivano i russi a Berlino, ad Auschwitz. E nel giro di due o tre anni, nasce lo Stato d’Israele, dotato di armi, uomini, servizi segreti. La copertura? I governi democristiani dell’epoca. Esistono le relazioni di servizio che i ministri dell’interno e della giustizia dell’epoca inviavano ai questori dicendo: arriveranno carichi di armi, fate finta di non vedere, devono imbarcarsi per Israele”. 
Ma il dettaglio più indicibile è stato un altro: “Il Mossad aveva rapporti con gli uomini della Repubblica di Salò. Proprio con coloro che avrebbero dovuto vederli come il fumo negli occhi. Eppure collaboravano”.
“Perché ho fatto questa piccolissima divagazione?”, si è chiesto. “Perché se parliamo di pista nera, in Italia parliamo di corde in casa dell’impiccato. E se non lo capiamo, non capiamo niente.”
Secondo Lodato, molti degli attuali detentori del potere non si sono sentiti affatto outsider, come ha raccontato Giorgia Meloni. “Non si considerano underdog. Si considerano gente che ha servito lo Stato in questi 60 anni. Ed è lì che si trova la chiave delle trame nere e rosse, dei depistaggi”. “Perché allora la Commissione Antimafia deve indagare solo su via D’Amelio? Perché se apre il cassetto successivo, non sai più come ne esci dalla storia di questo Paese".
E l’Agenda Rossa, l’oggetto simbolico per eccellenza della strage di via D’Amelio, è diventata una reliquia svuotata, ha spiegato Lodato, trasformata in un pezzo da museo e non più in un corpo del reato.
“Oggi, non viene più nominata. Non la nomina Colosimo, non la nomina Meloni, non la nomina neanche buona parte della famiglia Borsellino. Fatta eccezione per Salvatore. Ma l’Agenda Rossa esisteva. Lo sappiamo dai familiari. Lo sappiamo da subito. E oggi, invece, espongono una valigia vuota alla Camera, come fosse il simbolo dell’impegno dello Stato”.
Poi è arrivata la critica diretta alla procura di Caltanissetta, che ora – dopo 33 anni – sembra aver voluto tirare in ballo la massoneria deviata come concausa della strage. “Perché se adesso dite che Borsellino è stato ucciso per colpa della massoneria e degli appalti, io vi chiedo: e finora? Perché per anni avete messo sotto inchiesta tutti coloro che parlavano della pista vera. Allora oggi, pretendo che usiate la stessa unità di misura verso i ‘grembiulini’ che infestano la Sicilia”.
E ancora: “Forse era più semplice dire che Borsellino si è opposto alla trattativa Stato-mafia. Forse era più semplice cercare davvero l’Agenda Rossa. Ma se la strage di via D’Amelio non va coperta per coprire solo quella strage, allora serve a coprire tutta la storia d’Italia”.
La conclusione di Lodato, a questo punto, è stata inevitabilmente logica-deduttiva dalle premesse iniziali del suo excursus.
“A quattro o cinque di noi, questa sera, interessa ancora sapere che fine ha fatto l’agenda rossa. A meno che, come dicevamo prima, la strage di via D’Amelio non va coperta per coprire la storia d’Italia degli ultimi settant’anni".
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La rubrica di Saverio Lodato
Foto © Paolo Bassani
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