Ora che i buoi sono scappati dalla stalla indignarsi è facile. Sconcerto e disgusto, stupore e rabbia tra tutti i manifestanti che ieri a Palermo, 23 maggio, intendevano fischiare e stigmatizzare (come da tradizione) la retorica di Stato che come un logoro sudario viene adoperata ogni anno per coprire le gigantesche responsabilità dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato che stanno dietro le stragi di Capaci e di via d'Amelio.
E scusateci se ci permettiamo di deragliare rispetto al binario interpretativo che l'avvocato Fabio Trizzino e buona parte della famiglia Borsellino vorrebbero imporre ad una lettura monotematica della sola strage di via d'Amelio. 
Oggi è facile indignarsi di fronte ad una Fondazione, che porta il nome di Giovanni Falcone, che anticipa di dieci minuti l'orario-anniversario di quella strage, pur di impedire a migliaia di persone di esprimere fino in fondo tutta la propria rabbia. 
La Fondazione è intitolata a Giovanni Falcone, ma la Fondazione non ha responsabilità. 
Ha responsabilità Maria Falcone, che di cognome fa Falcone, e ritiene ormai da troppi anni di fare il bello e il cattivo tempo rispetto alla memoria di suo fratello. 
Oggi è facile. Noi ci permettiamo di rivendicare il merito che già 10 anni fa mettemmo per iscritto il nostro sdegno quando per decisione unilaterale di Maria Falcone, Francesca Morvillo fu lasciata da sola nel cimitero dei Rotoli perché la salma del "fratello Giovanni doveva riposare tra i siciliani illustri". Povera Francesca Morvillo. Resta una "siciliana illustre" pur se separata dal suo compagno di vita Giovanni.




Non vogliono che Giovanni Falcone e Francesca Morvillo riposino in pace!


di Saverio Lodato - 2 maggio 2015

Molti stanno già lucidando le trombe in vista del ventitreesimo anniversario della strage di Capaci. Il concertone, infatti, c’è sempre stato, e non si vede perché non dovrebbe andare in onda anche quest’anno. Molti stanno presentando domanda per l’iscrizione al club degli  "Amici di Giovanni". Gli anni passano, ma le iscrizioni non scadono mai e quanto prima toccherà all’Istat mettere ordine statistico stilando il computo annuale dei nuovi arrivati. Molti si preparano a rimbrottare, quando la data sarà quella canonica - cioè il 23 maggio - quei magistrati palermitani antimafia, oggi in vita, perché dicono qualcosa che non devono dire, non dicono qualcosa che avrebbero il dovere di dire, fanno cose che Falcone "non avrebbe mai fatto". Saranno uomini politici. Di destra, di sinistra, di centro: ché se non nomini la parola Mafia almeno il 23 maggio quando la devi nominare?
Gloriose signore del passato, amiche che furono del "caro estinto" - autentiche o sedicenti poco importa ormai a distanza di un quarto di secolo -, brandiranno la durlindana per zittire chiunque quel giorno si rifiuterà di bere il gran calice della retorica. Giornalisti che coltivano il dubbio - né di qua, né di là, per intenderci - ci infliggeranno filippiche contro le Antimafie di Mestiere, le Antimafie Abusive, le Antimafie di Facciata, le Antimafie Estremistiche, e via via aggettivando. Sono i nipotini degli Jannuzzi, dei Ferrara, degli Sgarbi, che indicarono per anni - e Falcone fece in tempo a godersi i primi scampoli di questo "pensiero audace" - come esistessero in Italia due pericoli, apparentemente contrari, ma in realtà perfettamente simmetrici: La Cupola della Mafia e la Cupola dell’Antimafia.
Li ricordiamo benissimo. E perfino con una punta di nostalgia, come accade tra reduci che si affrontarono su campi opposti. Li ricordiamo sui giornali di Berlusconi. Dentro le televisioni di Berlusconi. Li ricordiamo in Parlamento. Fin dentro le commissioni antimafia. 


50 anni di mafia

O quelle per le autorizzazioni a procedere. Furono anni al calor bianco. Anni di tragedia e di tragedie. Anni di scontri frontali, per iscritto o in Tribunale. Anni che preludevano all’oggi, ma questo si sarebbe capito dopo. E l’oggi è l’oggi della farsa, dei macchiettisti, degli epigoni. Il buon Marx almeno in questo ci azzeccò: la Storia si manifesta prima sotto forma di tragedia, poi sotto forma di farsa.
E’ proprio per questo che oggi ci appaiono titanici - è la parola giusta - in quel loro negare l’evidenza, stravolgendo la verità, i pensatori di allora. Soprattutto se confrontati all’odierna genia di impiegatucci che ricordano gli scialbi funzionari di Orwell che cancellavano pezzi di memoria nei forni caldi del Potere di "1984" all’insegna dello slogan: "La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’Ignoranza è forza". Tutti lì a ritagliarsi uno spazietto pubblicitario. Tutti lì pronti alla schizzatina, di fango o di veleno cambia poco. Tutti pronti ad accomodarsi su questo sgangherato carro di Tespi che esaurirà, nell’arco delle ventiquattro ore, il suo repertorio di luoghi comuni. Gli altri, i loro antenati, lavoravano duro 365 giorni all’anno, altro che storie! Per questo, gli antenati ci appaiono titani.
Batteranno persino un colpo - c’è da scommetterci - gli imbolsiti rappresentanti di quelle Istituzioni che vorrebbero un’Antimafia Bariccata, a lunga stagionatura, cioè; perché come sentenziò, appena l’anno scorso, Giorgio Napolitano: "la vera lotta alla mafia era quella che faceva Giovanni". E in questi 23 anni che si è fatto? Niente?
Salperanno anche quest’anno le "navi della legalità"? Il solito "comandante" si metterà in plancia di comando sorridendo a beneficio delle telecamere dei TG? Facciano pure. Ma non sarebbe un film vecchiotto? E nessuno potrà negarci il diritto di dire che il presepe non ci piacerà.
La signora Maria Falcone davvero si appresta a traslare la salma del fratello? Non vogliamo crederci. O meglio: non ci crederemo sin quando non assisteremo all’inconsueta e mesta  cerimonia. Con l’occasione: la salma di Francesca Morvillo, la moglie di Falcone assassinata nel medesimo agguato del 23 maggio, resterà invece dov’é? Esistono forse loculi di serie A e loculi di serie B? Se Dante Alighieri fosse ancora vivo scriverebbe un altro Canto della sua Commedia per raccontare la storia di due persone che si amavano, che furono trucidate insieme ma  furono divise 23 anni dopo… E chissà poi perché.
"StiaSerenaSignoraFalcone", ci verrebbe da dire. Non è agitando ciò che resta dei poveri resti di Falcone che si arricchisce il dibattito sulla lotta alla mafia. Servirebbero invece parole nitide e coraggiose. Per indicare i responsabili di un Paese in cui Le Mafie sono ancora vive e vegete. Quelle parole che Lei – e lo scrivemmo in un nostro articolo di qualche tempo fa – non ha mai ritenuto opportuno pronunciare.
Sbagliando profondamente, a nostro modestissimo parere.
Lasci che Giovanni Falcone e Francesca Morvillo risposino in pace.



Signora Maria Falcone, non tocchi Giovanni


di Saverio Lodato - 1° luglio 2015

Già che c’era, la signora Maria Falcone poteva portarsi la bara del fratello Giovanni sin dentro la Fondazione che da anni presiede proprio in nome del "caro estinto".
Abbiamo aspettato parecchio, prima di scrivere queste righe. E non avremmo voluto scriverle. Ma abbiamo aspettato perché si trattava di questione imbarazzante, delicata, in cui si intrecciano aspetti pubblici e privati, dolori di famiglia e dolori, non meno rispettabili, di un’intera comunità nazionale che si sente ancora offesa dalle stragi che piegarono la Sicilia, in primis quella di Capaci.
Nel frattempo, mentre noi indugiavamo, tanti colleghi ne hanno scritto, alcuni giornali ne hanno parlato, e il comune denominatore delle opinioni espresse è sempre stato di profondo sconcerto misto a incredulità. Non una sola voce si è levata a sostegno della scelta tanto calorosamente rivendicata dalla Signora Maria Falcone. Nessuno è riuscito a trovare un appiglio per cui si potesse dire che sì, ventitre anni dopo, i poveri resti del magistrato dilaniato dal tritolo andavano traslocati dal cimitero di Sant’Orsola per essere allocati nella Chiesa di San Domenico dove riposano i "siciliani illustri". Nessuno ha capito perché, seppur uniti dal tragico destino di una fine impietosa, Giovanni e Francesca andavano separati da una scelta post funeraria di mediocre eleganza e discutibilissima pietas. Chi ha scritto prima di noi ha osservato, a esempio, che Alfredo Morvillo, il fratello di Francesca, pur astenendosi dal commentare la vicenda ha preferito disertare la cerimonia della nuova tumulazione di Giovanni Falcone ventitre anni dopo. Non ci vuole molto a capire il perché.
La salma, poi, è stata traslata in gran segreto, affinché l’opinione pubblica sapesse a cose fatte, sebbene con apposito decreto in Gazzetta Ufficiale la decisione era stata platealmente annunciata.
Una brutta storia. Scaturita da un’ottica, ancora una volta, che a molti fa apparire l’antimafia come una questione privata che ognuno gestisce a modo suo, in nome del proprio tornaconto d’immagine personale. Non fermandosi neanche di fronte a quell’eterno riposo che è l’unico diritto che noi mortali possiamo riconoscere e garantire ai defunti.
Forse, vagamente infastidita, la signora Maria Falcone ha pensato bene di cavarsela con questa dichiarazione: "La traslazione delle spoglie di mio fratello Giovanni è un’azione coerente con gli obbiettivi della Fondazione, cioè privilegiare la dimensione pubblica del magistrato". Non una parola su Francesca Morvillo abbandonata al suo destino.
Rispettavamo e rispetteremo sempre Giovanni Falcone. Che fosse un "siciliano illustre" non lo certifica l’indirizzo scelto per il suo loculo considerato più "illustre" di quello precedente. E le Fondazioni, pubblicamente finanziate per diffondere fra i giovani i valori della lotta alla mafia, non possono essere adoperate come paravento da nessuno, neanche dai più stretti parenti di "tantissimi" - purtroppo - "siciliani illustri".

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La rubrica di Saverio Lodato


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