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L'intervento dello scrittore e giornalista alla presentazione di 'Cinquant'anni di mafia' al Teatro Golden di Palermo

"Una quindicina di giorni fa, io ho avuto la notifica per una denuncia, per una querela per diffamazione dalla Procura di Roma e, dopo un’attività complicata sostenuta dal mio avvocato, che per l’appunto è l’avvocato Ligotti, siamo riusciti a scoprire che chi querela è la Colosimo e mi querela, badate bene, per una trasmissione di Otto e Mezzo del 23 ottobre dove io non ho fatto altro che ricordare questi dati di fatto. Vale a dire, dato di fatto: c’è una fotografia della Colosimo insieme a Ciavardini, condannato all’ergastolo per le stragi. Un secondo dato di fatto: Roberto Scarpinato ha presentato un dossier di oltre 50 pagine sulle versioni nere e questo documento è stato letteralmente ignorato e cestinato dalla Presidente della Commissione Antimafia. Terzo: che la stessa Presidente della Commissione Antimafia si è distinta, non contenta di quello che stava accadendo, per avere presentato una richiesta scritta al Senato sollevando la questione dell’incompatibilità. Io e la Colosimo ci vedremo in tribunale perché questo è il destino delle cause per diffamazione".
Così il giornalista e scrittore Saverio Lodato durante il suo intervento alla presentazione del suo ultimo libro 'Cinquant'anni di mafia' al Teatro Golden di Palermo.
"Voglio soltanto dire - ha continuato - che io in 40 anni di carriera non ho ricevuto querele per diffamazione, se non ricordo male, da nessuno" ha detto Saverio ricordando la sua incarcerazione a Termini Imerese assieme al collega Attilio Bolzoni per aver pubblicato i diari del sindaco di Palermo Giuseppe Isalaco e i verbali del pentito catanese Calderone.
Vennero messi in galera per il reato di peculato e rilasciati una settimana dopo.
"È una storia vecchia", ha commentato Lodato, "e la Colosimo è probabilmente ancora molto giovane per adire in questo modo le vie legali, soprattutto quando c’è un’esposizione di dati di fatto. In quel caso noi pubblicammo davvero dei documenti che erano coperti da segreto istruttorio, quindi in quel caso si poteva sollevare un problema, ma quando uno fa un elenco di dati di fatto, con ogni probabilità uno farebbe bene a stare zitto o fare una smentita per iscritto oppure a non dire niente. Questo io volevo che si sapesse perché puntano a mettere nel mirino il maggior numero di persone possibili ed ogni maniera fa buon brodo. Ed è giusto però che non vengano coperti dal silenzio e dall’ignoranza dell’opinione pubblica che deve sapere le cose.
‘Cinquant’anni di mafia’. Stasera se n’è parlato tanto, sono contento, ringrazio.


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Giovanni Falcone apprezzava un libro che si chiamava ‘Dieci Anni di Mafia’, questo vorrei precisarlo. Il libro che apprezzava Giovanni Falcone era ancora un libro sulla mafia. Andando avanti nella stesura di questo libro, io mi sono accorto che mentre originariamente era un libro sulla mafia, oggi è diventato un libro sul potere in Italia, che è una cosa ben più ampia e ben più larga del fenomeno mafioso come noi lo avevamo conosciuto, come Falcone ci aveva e Paolo Borsellino ci avevano insegnato a conoscerlo, ma che loro stessi negli ultimi momenti della loro vita avevano capito che era diventato qualcosa di diverso.
Quando Giovanni Falcone, pochi giorni dopo l’attentato all’Addaura, mi rilascia un’intervista sulle menti raffinatissime, già comincia a capire che quel libro non si chiamerà più Dieci Anni di Mafia ma potrebbe diventare ‘Dieci Anni di Mafia’ e di Potere in Italia. Ora che ha 50 anni posso senz’altro dire che questo è diventato il libro. Ora non so se a Falcone piacerebbe ancora, ma certamente posso dire una cosa: che Giovanni Falcone, che era persona intelligente, capirebbe benissimo che la lotta alla mafia in Italia non si può più fare e non si può più fare perché non la può fare un governo che invece, come primo punto della sua agenda politica, vuole fare la guerra ai magistrati.
Le due cose non stanno insieme e allora quando Giorgia Meloni ci viene a raccontare – anche questo è stato detto stasera – che lei scese in campo il giorno della morte di Paolo Borsellino, non ha capito che lei Paolo Borsellino non lo deve nominare perché, se no rischia di rovinare il suo stesso desiderio di cancellare definitivamente la storia.
Perché in Italia, fino a quando qualcuno potrà camminare liberamente e dire a un altro: Ti ricordi Giovanni Falcone? Ti ricordi Paolo Borsellino? Ti ricordi la procura di Palermo? Fino a quel momento loro non avranno vinto
".


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La visione 'monoculare' della Commissione Antimafia

Saverio Lodato ha poi denunciato il tentativo in atto di riscrivere la storia e di mettere sotto accusa i magistrati che hanno combattuto contro la mafia, ribadendo come chi ha dedicato la propria vita a questa battaglia oggi viene delegittimato. Ha ringraziato la redazione di ANTIMAFIADuemila, il direttore Giorgio Bongiovanni e tutti i giornalisti che lavorano incessantemente per mantenere viva l’attenzione su questi temi, sottolineando come, al contrario, le istituzioni e le università, che avrebbero il compito di formare le nuove generazioni sulla lotta alla mafia, abbiano invece scelto il silenzio e l’assenza.
Subito dopo ha evidenziato la decisione controversa di Giorgia Meloni di dichiarare sette giorni di lutto nazionale per Silvio Berlusconi, un privilegio mai concesso neppure a grandi statisti italiani come Einaudi, Aldo Moro o Berlinguer. Ha criticato anche la scelta di intitolare a Berlusconi l’aeroporto di Malpensa e l’emissione di un francobollo commemorativo in suo onore, sottolineando come queste scelte abbiano segnato un evidente tentativo di esaltare la figura dell’ex premier in un modo mai visto prima per altri leader politici.


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Il discorso si è intrecciato ancora con la controversa nomina di Chiara Colosimo alla presidenza della Commissione Parlamentare Antimafia, nonostante le sue passate frequentazioni con ambienti dell’estrema destra e la sua fotografia insieme a Luigi Ciavardini, condannato all’ergastolo per la strage di Bologna. Ha sottolineato come questa scelta sia stata duramente contestata dalle famiglie delle vittime di mafia, con figure come Salvatore Borsellino che hanno espresso apertamente il proprio dissenso, senza però riuscire a far cambiare idea al governo Meloni, che ha comunque confermato Colosimo alla guida della Commissione.
"Ma ancora non capivamo cosa sarebbe diventata questa Commissione Antimafia, sebbene presieduta da una signora fotografata con un estremista di estrema destra - ha detto il giornalista - E lei poi disse che era così perché avevano preso il caffè assieme. Poi lo abbiamo capito quando hanno iniziato a fare il lavoro sporco. Questo è stato spiegato qui abbondantemente da Nino Di Matteo, da Scarpinato, se non ricordo male anche in un passaggio dall’avvocato Li Gotti. Una Commissione Antimafia parlamentare d’inchiesta monotematica che indaga su una strage sola, quella di Via d’Amelio.


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Tutte le commissioni parlamentari antimafia che abbiamo avuto in Italia – e vi segnalo che, se i miei conti non sono errati, questa è la diciottesima Commissione Parlamentare Antimafia che noi abbiamo in Italia – avevano il compito istituzionale, riconosciuto da tutti i partiti che esprimevano i loro componenti all’interno, di indagare su tutti i fenomeni criminali e stragisti dove si avvertisse la presenza del fenomeno mafioso. Per la Colosimo invece doveva prevalere una versione monotematica, monoculare, per cui si doveva indagare soltanto sulla vicenda Borsellino. Il dottore Scarpinato, senatore Scarpinato, ha presentato in quella commissione un memoriale di oltre 50 pagine in cui vengono dettagliatamente riassunti quelli che sono elementi che potrebbero portare oggi a sostenere che c’è stata una forte componente, non l’unica, non esclusiva, dell’eversione nera nelle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. Ha chiesto l’audizione di testimoni e di persone a conoscenza dei fatti. Tutto questo è stato cestinato e si è concluso poi con un atto parlamentare dalla signora Presidente della Commissione Antimafia – se non vado errato, se sbaglio mi correggerà Scarpinato – per sollevare questa questione dell’incompatibilità sia di Scarpinato sia del procuratore de Raho all’interno della Commissione Antimafia.
Perché dicevo hanno un problema? Perché noi ci siamo e ci resteremo
" ha concluso. 


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La rubrica di Saverio Lodato

Foto © Paolo Bassani

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