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Ecco il messaggio: cancellare del tutto la vera Antimafia. 
Si. Anche lui. Anche Paolo Borsellino. Hanno ucciso l'erede naturale di Giovanni Falcone. Il collega più anziano. L'uomo che ne aveva raccolto i resti pochi minuti dopo l'orrenda strage di Capaci del 23 maggio.
Cosa Nostra ha ucciso un altro dei mitici fondatori di quel pool che a metà degli anni Ottanta aveva raccolto le confessioni dei pentiti, emesso centinaia e centinaia di mandati di cattura, dimostrando, per la prima volta dal dopoguerra, che i giudici siciliani non volevano più convivere con il fenomeno mafioso. E dimostrando cosi - per la prima volta in Sicilia - che lo Stato poteva presentarsi finalmente con un volto diverso.
L'antimafia deve morire. Di quei giudici, di quegli investigatori, non deve restare traccia nell'Italia che si affaccia alle soglie del Duemila. E’ questo il messaggio. Inutile girarci attorno, inutile far finta di non capire. Di quell'antimafia, antimafia vera, autentica, di quell’enorme memoria storica non deve rimanere davvero nulla”. 

L'11 novembre al teatro Quirino di Roma vi è stata la presentazione dell’ultimo libro dello scrittore e giornalista Saverio Lodato 'Cinquant'anni di mafia' (edito da Bur-Rizzoli).
In quell'occasione l’attrice Lunetta Savino, davanti ad un pubblico numerosissimo, ha letto un estratto del volume con il quale l'autore ha raccontato l’ultimo, indimenticabile, incontro con Paolo Borsellino, avvenuto qualche settimana prima della strage di via d’Amelio, in cui il magistrato morì insieme ai suoi agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina ed Eddie Walter Cosina

Avevo viaggiato con Paolo Borsellino in aereo il 29 giugno, da Punta Raisi a Fiumicino. C’eravamo seduti accanto si era detto fiducioso nell’esito delle indagini per la strage di Capaci. Mi aveva ancora una volta confermato l'autenticità dei diari di Falcone. Mi aveva anche raccontato che Giovanni Falcone è morto senza potersi comperare una casa. E lo raccontava quasi sorridendo con quegli occhi nerissimi che non stavano mai fermi. Dov'era diretto? Non aveva voluto rispondere a questa domanda. Gli avevo chiesto se d'estate sarebbe rimasto a Palermo: anche su questo aveva glissato. Aveva angeli custodi su quell'aereo? Si era messo a ridere: «Sono solo. Non lo vede?» E infine: intendeva accettare eventuali candidature alla Superprocura? «Non me lo sogno nemmeno.» Poi lo avevo chiamato al suo telefonino cellulare il 16 luglio, di pomeriggio. Era tesissimo: «La prego ora non posso parlare, mi chiami in un altro momento». Non l'ho più visto, non l'ho più sentito. Muore un'altra di quelle creature rare - come aveva detto il giudice Antonino Caponnetto - che ogni tanto il Cielo manda su questa Terra. A una Terra che non se le merita. Quanto potremo continuare ancora cosi?. (20 luglio 1992)”.

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La rubrica di Saverio Lodato

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