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“Da dieci anni scrivete di mafia e ancora non avete capito nulla. Non avete capito la cosa più importante. Quella che voi chiamate mafia, piovra, criminalità organizzata, è Cosa Nostra”. Con queste parole, al Teatro Quirino di Roma, Lunetta Savino, volto noto del grande schermo e interprete di numerosi film e serie TV, ha riproposto uno stralcio del libro Cinquant’anni di mafia (edito da BUR-Rizzoli), scritto dal giornalista Saverio Lodato. Rievocando il carattere pragmatico di Giovanni Falcone, capace di andare oltre le apparenze e di comprendere come il potere mafioso riuscisse a intrecciare legami profondi con ampi settori della società siciliana, la nota attrice italiana ha proseguito nella lettura: “Ma come fate a non capire che se in questa regione sono stati assassinati procuratori della Repubblica, dirigenti della Squadra mobile, comandanti dei carabinieri, segretari di partito, capi di governo, imprenditori, giornalisti, cittadini qualunque, tutto ciò è il risultato di una strategia concepita e attuata da una struttura verticistica e monolitica, capace di avvalersi di una tradizione secolare e di rapporti strettamente intrecciati con ampi settori della società siciliana”. “Conosceva segreti? Certamente, tanti. Conosceva regole comportamentali, strutture di pensiero? Conosceva l’humus di cui l’uomo d’onore si nutre sin da bambino, nei vicoli della casbah di Palermo o nelle casupole di Corleone? Certamente. Conosceva l’antropologia del mafioso quasi alla perfezione. Diversamente, come avrebbe fatto a piegare fino al pentimento colonne mafiose come Buscetta o Contorno, Calderone o Marino Mannoia? Era questo il segreto di Giovanni Falcone. “Oggi Falcone è stato assassinato, con un agguato che dimostra ancora una volta una potenza militare micidiale. L’agguato dimostra due cose. Uno, Cosa Nostra esiste e considerava apertissimo il suo conto personale. Un’autentica vertenza, come si dice a Palermo, iniziata tanti anni fa, quando Falcone, per la prima volta e prima di tanti altri giudici, aveva davvero capito di che pasta fossero fatti gli uomini d’onore. Due, Falcone sapeva bene che il rapporto mafia-politica esiste, è strettissimo ed è la condizione essenziale che consente alla mafia di non essere semplice gangsterismo, guerra per bande, criminalità organizzata, anche se di alto livello. Negli ultimi anni della sua attività, volle dimenticare queste sue certezze sul rapporto mafia-politica? È molto probabile. Non dimentichiamo che a Palermo riuscì a totalizzare soltanto sconfitte, insuccessi personali, astio e antipatia da parte di molti dei suoi colleghi. Era andato a Roma? Non è bastato a salvarlo”.

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La rubrica di Saverio Lodato

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