L’intervento dello scrittore e giornalista sul palco di via d’Amelio durante l’evento “Noi sappiamo chi siete”
“Voglio ricollegarmi intanto a una frase detta proprio nella parte conclusiva dal dottor Di Matteo nel suo intervento. Di Matteo ha detto: ‘Falcone e Borsellino non sognavano questo Paese, questo non è il Paese che sognavano Falcone e Borsellino'. Io vorrei aggiungere: Falcone e Borsellino 32 anni fa furono uccisi perché questo era il Paese che bisognava costruire con le complicità di cui abbiamo parlato fino a questo momento, perché non è stata un'impresa facile costruire il Paese scempio nel quale oggi noi siamo costretti a vivere. Falcone e Borsellino non sarebbero stati compatibili con questo Paese. Falcone e Borsellino, sin da allora, avevano intravisto quello che c'era da intravedere”.
Sono state queste le parole dello scrittore e giornalista Saverio Lodato intervenuto ieri sul palco di via d’Amelio nell’ambito dell’evento ‘Noi sappiamo chi siete’ per ricordare il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina.
In estrema sintesi il giornalista ha ribadito un concetto già espresso dai precedenti relatori: la verità sulle stragi di mafia e non solo potrebbe essere rappresentata come un enorme elefante dentro una stanza che l’attuale governo, così come una parte della magistratura, sta cercando in tutti i modi di ignorare. E la presenza di questo pachiderma non è nuova nel panorama italiano: “Quando Falcone parla di menti raffinatissime pochi giorni dopo il suo attentato all'Addaura, di cosa parla se non di un elefante che sta attraversando l'Addaura e che non è rappresentato esclusivamente dai mafiosi e dai capibastoni?” ha detto Lodato ribadendo che dopo 32 anni “non abbiamo accettato il fatto che il tempo cancellasse una volta e per tutte quelle spinte, quei valori, quella richiesta di verità che, a mio parere, l'intera stragrande maggioranza di questo Paese ancora oggi chiede”.
Ma per evitare che si arrivi ad una verità scomoda si sta cercando di costruire delle versioni accomodanti che raccontano le stragi come una vicenda di sola mafia escludendo la componente istituzionale.
“E allora questo spiega la ragione del grande depistaggio, perché è stato necessario un depistaggio che durasse 32 anni, perché scoprire oggi la verità su quello che accade allora significherebbe spiegare agli italiani quello che accade oggi. E questo non si può fare, e questo non lo vogliono fare” ha dichiarato il giornalista.
Per esempio perché non si vuole scoprire il perché “chi volle silenziare Paolo Borsellino ancora vivo sui nomi di Dell'Utri, Mangano e Silvio Berlusconi? Non sarebbe anche questo un contributo alla verità?”.
Tuttavia l’attuale forza politica presente al governo non vuole andare in questa direzione nonostante “la Presidente Meloni non perda occasione per ribadire che lei scese in politica il giorno della strage di Via d'Amelio nel nome di Paolo Borsellino” ha detto Lodato, "ribadisce sempre questo concetto, ribadisce un concetto di legalità molto forte che caratterizzò per anni il Movimento Sociale anche a Palermo" ha aggiunto lo scrittore ricordando che si tratta di una "storia antica con la quale chiuderò questo mio breve intervento”: nell'Ottobre del 1925 Benito Mussolini mandò Cesare Mori in Sicilia con "poteri assoluti per debellare la mafia, perché Benito Mussolini non accettava che in Sicilia ci fosse uno stato parallelo che non accettava il regime fascista e quindi dà carta bianca a Mori.
Come va avanti la storia? Mori viene in Sicilia e darà vita a operazioni di fortissimi rastrellamenti in tutti i paesi delle Madonie e dei Nebrodi. Centinaia, migliaia di persone verranno arrestate, alcune giustamente, alcune ingiustamente. Ad un certo punto, Mori, che passerà alla storia con la definizione di ‘prefetto di ferro’, capisce e anche lui vede l'elefante e scopre che le ramificazioni della mafia arrivavano sino alla sede locale palermitana del Partito Nazionale Fascista".
A questo punto però Cesare Mori venne promosso a Senatore e mandato via dalla Sicilia; il 'prefetto di ferro' comprese che "la lotta alla mafia può arrivare fino a un certo punto e che quando ti incontri con l'elefante ti devi fermare. Ora, vorrei dire a questi giovani, anche molto volenterosi di estrema destra che guidano l'entourage della Presidente del Consiglio, che dovete fare un grande sforzo per arrivare a scoprire certe verità, perché non ci è riuscito neanche Benito Mussolini e voi non siete Benito Mussolini" ha concluso Lodato.
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La rubrica di Saverio Lodato
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