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Su Rai3 l’intervento del giornalista nello speciale di PresaDiretta, di Riccardo Iacona, insieme alla famiglia Agostino

Oggi parliamo dell’omicidio Agostino a 35 anni dai fatti. Un tempo interminabile e ingiustificabile tenuto conto che le due persone che ad oggi sono accusate di aver avuto un ruolo nel delitto Agostino-Castelluccio sono ancora sotto processo”. A parlare è il giornalista Saverio Lodato intervenuto ieri su Rai3 durante lo speciale di PresaDirettaNel nome del padre” condotto da Riccardo Iacona. Un omaggio a Vincenzo Agostino, uomo simbolo della lotta alla mafia venuto a mancare un mese fa senza avere verità e giustizia per la morte del figlio, l’agente Nino Agostino, e della nuora, Ida Castelluccio (incinta), uccisi dalla mafia - e non solo - il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.
Vincenzo aveva compiuto 87 anni lo scorso 22 marzo e in tutti questi anni non ha mai smesso di lottare. Con il sostegno dei suoi figli. Quando nel 2019 è venuta a mancare sua moglie, Augusta Schiera, il suo sforzo è stato ancora più grande, in giro per tutta l'Italia sempre accompagnato dalle figlie, Flora e Nunzia, così come dai nipoti.
A Palermo da un paio di anni si stanno celebrando due processi: uno in abbreviato a carico del boss Nino Madonia, condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per il duplice omicidio; e uno con rito ordinario a carico del boss Gaetano Scotto e di Francesco Paolo Rizzuto, sedicente amico d’infanzia di Nino Agostino. “Si attende la Cassazione - ha detto Lodato in riferimento a Madonia -, che come sappiamo su materie del genere può riservare delle grandi sorprese agli italiani”.
Ospiti dello speciale, trasmesso in diretta da Palazzo Jung a Palermo, anche Flora Agostino, sorella dell’agente ucciso, e Nino Morana, nipote di Nino e Vincenzo Agostino. Per introdurre la serata Iacona ha ricostruito il duplice delitto con un servizio di Elena Stramentinoli.


Lodato: “Nino Agostino era un agente che collaborava con Falcone

Il Caso Agostino è stato ostacolato in ogni modo, soprattutto subito dopo l’omicidio con una macchina del depistaggio che sarebbe stata poi utilizzata anche in altre occasioni, ad esempio le stragi. “La lunghezza delle indagini dimostrano due cose - ha commentato Lodato - da un lato che noi giornalisti fummo i primi a non capire questo duplice delitto, perché non conoscevamo l’agente Agostino e non sapevamo che lavorava sotto copertura in questo fantomatico Commissariato di San Lorenzo. Solo dopo venne scoperto”. Dall’altro lato, invece, “dimostra che si tratta di uno dei grandi delitti di Palermo”. E lo era “intanto per il rapporto di collaborazione, fiducia e stima reciproca tra l’agente Nino Agostino e Giovanni Falcone - ha continuato il giornalista - ma anche per quello che accadde dopo: come in tutti i grandi delitti in Sicilia, tanto più è grande tanto più le indagini sono interminabili, caratterizzate da depistaggi e soprattutto dal fatto che non si trovano quelle prove cartacee che il diretto interessato, cioè la vittima, voleva lasciare quando capiva di avere ormai le ore contate in modo che le stesse saltassero fuori”. Nino Agostino, infatti, non era un agente di polizia qualunque. Non era un “piantone” come alcuni hanno voluto far credere. Era un cacciatore di latitanti.
Ma il file rouge del depistaggio non si è fermato con Agostino. Si è ripetuto negli anni. “Vale per i diari di Carlo Alberto dalla Chiesa mai ritrovati; vale per le carte dell’agente Agostino mai ritrovate; vale per l’agenda rossa di Paolo Borsellino; vale per il ritrovamento monco dei diari di Giovanni Falcone e il computer - ha continuato Lodato - quindi quanto più il delitto è ‘eccellente’ tanto più diventa inesplicabile. E molto spesso c’è la pista passionale, come venne utilizzata per più di un anno durante le indagini sul duplice delitto Agostino-Castelluccio”.


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Cinquant’anni di mafia

Saverio Lodato è stato per decenni corrispondente de L’Unità a Palermo. Ha raccontato in prima persona la storia della mafia, le sue evoluzioni, le collusioni con il potere e l’azione di contrasto dello Stato. Ha documentato il bagno di sangue che ha invaso le strade di Palermo tra gli anni ’80 e ’90. Da poco è tornato in libreria con “Cinquant’anni di mafia” (ed. Bur Rizzoli). “Questo libro lo presentò Giovanni Falcone nel 1990. Al tempo erano i ‘Dieci anni di mafia’ - ha detto Lodato - lo presentò a Roma e alla festa nazionale de L’Unità a Modena. Questo a riprova che non è vero che quei giudici non parlavano in pubblico. Parlavano eccome in pubblico. Ora non possono più parlare”. Lui e Falcone si conoscevano bene e c’era stima reciproca. Tra le altre cose, a lui il magistrato parlò per primo delle “menti raffinatissime” dopo il fallito attentato all’Addaura che ha preceduto l’omicidio Agostino.
Sia Falcone sia Borsellino, e presumibilmente anche l’agente Agostino, muoiono quando sono al culmine del loro isolamento. Non quando sono potenti dal punto di vista professionale. Prima c’è la denigrazione, i falliti attentati come quello all’Addaura che qualcuno volle sostenere che Falcone se lo fosse organizzato da solo - ha aggiunto - a volere la morte di Falcone erano ‘certamente anche centri di potere occulto’. Parlando di ‘menti raffinatissime’ capì quello che molti avrebbero fatto finta di non capire e altri avrebbero capito dopo: ovvero che la mafia non faceva tutto da sola. Quella era una favoletta che da decenni veniva raccontata agli italiani”.


Scarpinato: “Delitto Agostino emblema di tanti omicidi e stragi rimasti senza verità”

Nel servizio di Elena Stramentinoli è stato intervistato anche l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, oggi tra le fila del M5Stelle a Palazzo Madama. L’ex magistrato, che ha dato il là ai due procedimenti attualmente in corso sul duplice delitto Agostino-Casteluccio, ha ricostruito le ombre del caso.
A partire dal depistaggio iniziato mentre i corpi delle due vittime erano ancora caldi. “Vengono fatte sparire delle carte che Nino Agostino aveva preparato nel caso in cui fosse stato ucciso proprio per indirizzare gli investigatori verso le reali causali della strage. E viene inventata di sana pianta dalle forze di polizia una pista passionale. Ovvero che Agostino sarebbe stato ucciso per motivi di donne”, ha detto l’ex magistrato.
Fino ad arrivare a Vincenzo Scarantino, il falso pentito che durante il processo Borsellino quaterha raccontato che Arnaldo La Barbera (ex capo della Squadra mobile di Palermo, ndr) aveva tentato di convincerlo ad assumersi la responsabilità del duplice omicidio Agostino-Castelluccio. Le indagini hanno le stesse caratteristiche di depistaggio che poi caratterizzeranno le stragi del ’92 e ’93”.
E poi c’è la componente Gladio. Oltre a dare la caccia ai latitanti, secondo la procura l’agente Nino Agostino avrebbe compiuto segretissime missioni a Trapani. A suo zio Salvatore, che un anno prima della sua morte lo sapeva che si recava frequentemente a Trapani, da solo, in abiti borghesi, e faceva finta di essere un pendolare viaggiando con una valigetta tipo 24 ore, Nino disse: “Naschìo” (“sento l’odore”). Un modo con cui indicare che stava fiutando qualcosa. Si scoprirà solo successivamente che proprio a Trapani il Sismi aveva aperto il Centro Scorpione, sede di Gladio.


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Riccardo Iacona con Flora Agostino e Nino Morana


I dirigenti di questa sezione di Gladio li abbiamo sentito come testimoni - ha aggiunto Scarpinato - e abbiamo accertato che ci hanno detto un sacco di bugie. Ci hanno detto che sostanzialmente non avevano fatto niente di operativo in quegli anni. I documenti, invece, dimostrano che quella era una base operativa di attività coperte”.
Per l’ex magistrato “quello di Agostino è un caso emblematico di tanti omicidi e tante stragi per i quali questo Paese non è riuscito ad accertare la verità”.


Il ricordo di Nino e Vincenzo Agostino nelle parole dei familiari

A chiudere lo speciale “Nel nome del padre” sono stati Flora Agostino e Nino Morana. “Da 35 anni aspettiamo la verità - ha detto Flora, che quel terribile 5 agosto ’89 avrebbe dovuto festeggiare il suo 18esimo compleanno con la famiglia - sono stati i miei genitori ad iniziare questa lotta contro le istituzioni per avere finalmente verità e giustizia. Mia mamma è morta senza avere quella verità tanto attesa. Infatti, nella sua tomba abbiamo scritto: ‘Qui giace Schiera Augusta Giacoma, mamma dell’agente Antonino Agostino in attesa di verità e giustizia anche oltre la morte’. E durante i funerali ad un magistrato ho detto: ‘Questa è una sconfitta per voi e per lo Stato italiano”. Una serata difficile per lei, perché “un mese fa ci ha lasciati mio padre. Speravamo che questo processo in corso si concludesse in tempi più brevi così che anche lui potesse avere questa soddisfazione. Il suo desiderio era quello di tagliarsi la barba e quella giornata doveva essere una festa non solo per noi familiari, ma per tutta Italia”.
Ai funerali nonostante il dolore di aver seppellito il nonno con barba e capelli lunghi ho detto ciò che avrebbe detto qualsiasi nipote al posto mio. Qualsiasi figlio, dato che per me nonno Vincenzo era come un padre - ha continuato Nino Morana - ho promesso che avrei continuato la sua lotta. Il nonno mi ha istruito. Voleva che lo accompagnassi ovunque non soltanto per farmi raccontare la storia dello zio ma per farla raccontare a tutte le persone che faranno parte del mio cammino”.
Il pezzo di verità che manca è quella parte del para-Stato deviato che ha contribuito all’uccisione di mio zio e al depistaggio delle indagini. Mio nonno si è speso per 35 anni per cercare ‘i pupari’ come li chiamava lui - ha aggiunto Nino Morana - le mele marce che macchiano il nostro Stato. Uno Stato che amo tanto come lo amava mio nonno e che spero un giorno di rappresentare con la divisa, ma che purtroppo è macchiato con la loro morte”.
Fino a quando non avremo reale verità e giustizia non solo sulla morte di mio zio ma su tutte le vittime innocenti delle mafie e le vittime del dovere, non saremo mai una vera democrazia”, ha concluso.

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La rubrica di Saverio Lodato


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