di Salvatore Borsellino - 25 luglio 2013
Con terrificante puntualità, con terrificanti coincidenze con quanto è avvenuto ventuno anni fa, si ricomincia a parlare di possibili attentati, di possibili stragi. E' estate ed è sempre in estate che la mafia colpisce i bersagli che altri, non la mafia, indica come gli obiettivi da colpire.
"Quando sarò ucciso sarà mafia ad uccidermi ma non sarà la mafia ad avere voluto la mia morte". Erano le parole pronunciate da Paolo Borsellino prima della sua morte annunciata e attorno a lui, in quello scorcio d'estate del '92, succedeva quello che succede attorno a Nino Di Matteo in questo scorcio d'estate del 2013.
Anche per lui si parla di un carico d'esplosivo già arrivato a Palermo, anche per lui si parla di un detonatore già pronto per l'uso, anche per lui, come per Giovanni Falcone vengono fatte prove sull'esplosivo che dovrà servire per uccidere lui e gli uomini della sua scorta.
Ma non è agli uomini della mafia che interessa ucciderlo, non sono loro ad avere paura di un processo per la trattativa Stato-mafia. Gli uomini della mafia che parteciparono a quella trattativa sono già in galera, sottoposti a quel 41 bis di cui reclamano l'eliminazione o l'attenuazione perchè lo Stato deve pagare le cambiali che ha sottoscritto, il processo non può fare loro paura, anzi. Il processo se la trattativa dovesse essere provata, rappresenta per la mafia quel riconoscimento che da sempre hanno cercato: la mafia è un interlocutore, è sullo stesso piano, dello Stato, è l'antistato che ha trattato non alla pari, ma addirittura da una posizione di forza con lo Stato.
Con terrificante puntualità, con terrificanti coincidenze con quanto è avvenuto ventuno anni fa, si ricomincia a parlare di possibili attentati, di possibili stragi. E' estate ed è sempre in estate che la mafia colpisce i bersagli che altri, non la mafia, indica come gli obiettivi da colpire.
"Quando sarò ucciso sarà mafia ad uccidermi ma non sarà la mafia ad avere voluto la mia morte". Erano le parole pronunciate da Paolo Borsellino prima della sua morte annunciata e attorno a lui, in quello scorcio d'estate del '92, succedeva quello che succede attorno a Nino Di Matteo in questo scorcio d'estate del 2013.
Anche per lui si parla di un carico d'esplosivo già arrivato a Palermo, anche per lui si parla di un detonatore già pronto per l'uso, anche per lui, come per Giovanni Falcone vengono fatte prove sull'esplosivo che dovrà servire per uccidere lui e gli uomini della sua scorta.
Ma non è agli uomini della mafia che interessa ucciderlo, non sono loro ad avere paura di un processo per la trattativa Stato-mafia. Gli uomini della mafia che parteciparono a quella trattativa sono già in galera, sottoposti a quel 41 bis di cui reclamano l'eliminazione o l'attenuazione perchè lo Stato deve pagare le cambiali che ha sottoscritto, il processo non può fare loro paura, anzi. Il processo se la trattativa dovesse essere provata, rappresenta per la mafia quel riconoscimento che da sempre hanno cercato: la mafia è un interlocutore, è sullo stesso piano, dello Stato, è l'antistato che ha trattato non alla pari, ma addirittura da una posizione di forza con lo Stato.
Lo Stato si è presentato, "si sono fatti sotto" come disse Riina, all'antistato con il cappello in mano e quel cappello era un cappello da carabiniere ed alla richiesta di Riina di potere essere certo che non ci fossero solo due ufficiali dei carabinieri dietro quella trattativa, hanno potuto dare la risposta che si aspettavano per potere trattare da pari a pari. Si, ha detto Brusca, Riina ha potuto avere l'assicurazione che il terminale istituzionale c'era, ed era un ministro della repubblica.
L'antistato ha potuto dettare le sue condizioni per concedere una tregua, per arrivare a quella "pace" per cui era stata scatenata la "guerra".
"Fare la guerra per fare la pace" aveva detto Riina, e per concedere la pace era stato presentato "un papello lungo così" un diktat, come quello che si sottopone ad un nemico sconfitto, che lo Stato si era messo nelle condizioni di non potere rifiutare.
E che non rifiutò se, come disse Giuseppe Graviano in un bar di via Veneto, la capitale dello Stato sconfitto, "ci hanno messo il paese nelle mani". E questi disse "non sono come quei crasti dei socialisti", questa è gente seria, gente che onora le cambiali firmate, e le ha onorate, ha continuato ad onorarle negli ultimi venti anni.
Ma adesso c'è un magistrato, ci sono dei magistrati che mettono in pericolo questo patto, che vogliono mettere alla luce una trattativa e una congiura del silenzio su questa trattativa che è durata per venti anni, che dopo avere assicurato quarantatré anni di latitanza a Provenzano ne ha già assicurato una di venti anni al figlio di Francesco Messina Denaro.
E allora gli "amici romani" chiedono A Matteo Messina Denaro di mettere a tacere anche questo giudice. Come Paolo Borsellino doveva essere eliminato per potere portare avanti e concludere la trattativa, Nino Di Matteo deve essere eliminato per impedire che venga messa alla luce la trattativa, che venga scoperchiato questo patto scellerato, che si arrivi a fare luce sulla trattativa e sulla congiura del silenzio che centinaia di personaggi delle istituzioni hanno mantenuto per venti anni, che si arrivi ai responsabili morali e materiali dell'assassinio di Paolo Borsellino, che si arrivi ai mandanti di quella strage.
Che sono gli stessi mandanti di questa nuova strage annunciata.
E le istituzioni tacciono, i mandanti attendono.
Ci sarà un'altra colonna di fumo che si leverà in alto, che sarà vista da tutta Palermo e poi ci saranno altri funerali di stato, altri eroi da commemorare, altre corone di fiori da portare nel luogo della strage dagli avvoltoi che andranno a verificare che anche quest'altro giudice non sia più in condizioni di nuocere.
Si alza formalmente il livello della protezione, siamo al livello 1, lo stesso del Capo dello Stato. Ma il Capo dello Stato, così rapido a delegittimare questo magistrato e l'intera Procura di Palermo sollevando un inutile e inopportuno conflitto di attribuzione, oggi tace. Così tacciono le più alte cariche dello Stato.
Per loro non ci sono attentati in preparazione o minacce di morte.
Per loro il livello 1 di protezione è più che sufficiente, per Nino di Matteo servirà solo ad aumentare il numero delle vittime, il numero degli eroi da commemorare, le medaglie d'oro da distribuire.
E di quel dispositivo, il "jammer", che potrebbe neutralizzare il telecomando già pronto, nessuna traccia, come era stato negato a Giovanni falcone, a Paolo Borsellino, viene negato anche a Nino di Matteo.
Renderebbe almeno più difficile l'esecuzione della condanna a morte, ma quando si indagherà sulla mancata protezione, sulle inadempienze, sulle complicità, sentiremo ancora una volta che "il fatto non costituisce reato".
Tratto da: 19luglio1992.com
Foto © Giorgio Barbagallo