di Salvatore Borsellino - 31 maggio 2013
Quando si perde una battaglia, e non c'é dubbio che oggi una fondamentale battaglia sia stata irrimediabilmente perduta, bisogna analizzare i motivi della sconfitta e valutare se questa sia dovuta ad una errata strategia, ad una insufficiente determinazione nell'attacco, ad una errata valutazione delle forze in campo o all'avere erroneamente confidato nell'apporto di forze che si pensava avrebbero appoggiato la tua azione.
Oggi 31 maggio 2013, nella seconda udienza del processo che si svolge a Palermo per attentato al corpo politico dello Stato, ci é stato definitivamente impedito di potere partecipare come parte attiva ad un processo per arrivare al quale ci battiamo da anni, da quando abbiamo cominciato a sostenere in ogni sede e con ogni mezzo che proprio a causa di questa scellerata trattativa Stato-mafia era stata accelerata l'esecuzione della condanna a morte di Paolo Borsellino e dei ragazzi della sua scorta.
Affermavamo ad alta voce questa verità quando invece per accompagnare questo nome "trattativa" venivano usati soltanto i termini di "cosiddetta", "presunta", "fantomatica" e a chi come me continuava ostinatamente ad affermarla veniva riservato, nel migliore dei casi la definizione di "sconvolto da dolore" e nel peggiore quello di "malato mentale".
Affermavamo questa verità fa quando, grazie ad una testimonianza autografa di Paolo lasciata annotata sulla sua agenda grigia, avevo inchiodato Nicola Mancino alle sue menzogne.
Dopo la prima udienza era arrivato il primo siluro contro questa fase del processo, dopo quelli, provenienti dalla più alta delle nostre istituzioni che ne avevano caratterizzato la fase dell'udienza preliminare.
Il provvedimento di detenzione in una struttura carceraria di quello che, seppure anche in veste di imputato, riveste il ruolo di uno dei testimoni chiave del processo. Provvedimento sul quale, su questo stesso sito 19luglio1992, ho giá espresso i miei dubbi e le mie preoccupazioni.
A conclusione della seconda udienza é arrivato il secondo siluro, quello che mi riguarda personalmente: l'impossibilitá per me e per il movimento che rappresento di partecipare come parte attiva al processo e di potere così contribuire alla ricerca della Verità e al corso della Giustizia per perseguire reati che hanno contribuito in maniera fondamentale ad eventi in cui ha perso a vita mio fratello, il Giudice Paolo Borsellino.
E' stato ritenuto che io debba partecipare a questo processo soltanto come spettatore o che ne debba seguire lo svolgimento soltanto attraverso quanto riportato da quegli stessi mezzi di informazione che in un altro processo, quello di Caltanissetta, hanno con clamore annunciato il ritrovamento dell'Agenda Rossa di Paolo scambiando questa con la figura di una agendina stampata su un parasole con cui qualcuno aveva ricoperto quello che restava di Emanuela Loi e scambiando i resti di quest'ultima con quelli di Paolo Borsellino.
In compenso potrá partecipare come parte civile al processo l'associazione Libera.
Non posso che rallegrarmene ma non posso non rammaricarmi del fatto che l'ispiratore di questa associazione sia quello stesso Luciano Violante che per anni ha partecipato ad una scellerata congiura del silenzio su questa trattativa ritrovando parzialmente la memoria, come purtroppo tanti altri rappresentanti delle istituzioni, soltanto dopo che Massimo Ciancimino di questa trattativa cominciò per la prima volta a fornire le prove.
Quando, nella disanima delle ragioni di questa sconfitta, parlavo di un errore di valutazione nell'apporto di forze che pensavo avrebbero appoggiato la mia azione mi riferivo al fatto che fin dall'inizio era stata mia intenzione costituirmi come parte civile al processo sia come rappresentante del movimento delle Agende Rosse sia come fratello di Paolo Borsellino.
Su quest'ultima richiesta l'ufficio del Pubblico Ministero aveva giá in fase di udienza preliminare espresso parere negativo nel timore, ritengo, che la mia partecipazione in questa veste al processo potesse fornire argomenti a chi reclamava l'incompetenza territoriale della Procura di Palermo su questo processo e ne richiedeva il trasferimento a Caltanissetta.
Fu invece dallo stesso ufficio del PM appoggiata la mia richiesta di costituzione come rappresentante delle Agende Rosse con argomentazioni giuridiche che tendevano a superare l'ostacolo della data di costituzione del movimento e che vennero ritenute valide dal GUP che infatti ritenne di accettare, sotto questa veste, la mia richiesta.
Ritengo che questi timori fossero infondati: non era certamente la mia costituzione di parte civile come congiunto di Paolo Borsellino a potere determinare l'incompetenza territoriale.
Avrebbe al massimo potuto fornire argomenti dialettici a una richiesta che se fosse stata accolta avrebbe potuto trovare la sua motivazione piuttosto in qualche parte dell'impianto accusatorio.
Se io fossi arrivato a questa seconda fase del processo come parte civile in qualitá di congiunto di Paolo Borsellino, nessun rappresentante della difesa degli imputati, ne sono sicuro, avrebbe richiesto la mia esclusione come invece ha potuto fare l'avvocato Milio.
In ogni caso, nel momento in cui é stata chiesta la mia esclusione sulla base della data di costituzione del movimento, mi sarei aspettato che l'ufficio del Pubblico Ministero replicasse con le stesse argomentazioni giuridiche che avevano convinto il GUP a legittimare la mia partecipazione al processo come parte civile in rappresentanza del Movimento delle Agende Rosse.
Così non é avvenuto. A volte una battaglia può essere persa perché si confida troppo nell'apporto di forze esterne che invece non intervengono nel momento opportuno.
Il maresciallo Grouchy non è arrivato in tempo e la Vecchia Guardia è stata lasciata da sola a reggere l'assalto dei prussiani.
E' stata persa una battaglia, continueremo a combattere la nostra guerra e cercheremo di moltiplicare le nostre forze per recuperare questa battaglia perduta.
Ma non è su questo stesso campo di battaglia che potremo combatterla.
Da questo io e il mio movimento siamo stati esclusi.
Salvatore Borsellino (31 maggio 2013)
Foto © Giorgio Barbagallo
18 giugno 1815: la battaglia di Waterloo
"Nessuno saprà mai come il maresciallo Grouchy, con 34.000 uomini e 108 cannoni, riuscì a non trovarsi, quel mattino del 18, né sul campo di battaglia di St. Jean né su quello di Wavre (…) La sua condotta fu incomprensibile: fu come se il suo esercito in marcia fosse improvvisamente sprofondato a causa di un terremoto". Con queste parole si espresse Napoleone ricordando gli eventi di Waterloo nel suo esilio di Sant'Elena. Effettivamente il maresciallo Emmanuel de Grouchy aveva con sé una fetta consistente dell'Armee du Nord ed il peso dell'assenza di quei 34.000 soldati dal campo di battaglia si fece presto sentire. Si può ben dire che se il maresciallo fosse riuscito ad intercettare i Prussiani imbrigliandoli in un combattimento prima che potessero avvicinarsi al teatro dello scontro principale , la battaglia di Waterloo avrebbe, con molta probabilità, avuto esiti diversi per i Francesi.
Ma perché non vi riuscì? Molti storici hanno accettato tranquillamente il dogma secondo il quale la maggior parte della responsabilità della sconfitta sarebbe stata dovuta all'incapacità di Grouchy a stabilire un contatto con i Prussiani. In realtà (Lunt) Grouchy fu più vittima che colpevole: All'alba del 18 giugno egli ricevette un rapporto secondo il quale Blucher si stava ritirando verso Wavre. Il maresciallo allora inviò una nota informativa all'Imperatore e si accinse tranquillamente a fare colazione. In quel momento si trovava a Sart-à-Walhain ed udì distintamente "il rombo del cannone".
Il generale Gèrard,del IV° Corpo, scongiurò con insistenza Grouchy di dirigersi immediatamente in quella direzione ma quest'ultimo rimase indeciso. Napoleone gli aveva dato ordini precisi: "marciare verso Wavre" ed egli non possedeva quella elasticità tale per decidere in maniera autonoma. Si attenne quindi strettamente agli ordini impartitigli ma verso le 18 venne raggiunto da un portaordini che recava un poscritto vergato a mano dallo stesso Napoleone in cui si diceva:
"non perdete un minuto a farvi più sotto e a unirvi a noi". A quel punto le sue truppe si trovavano ad una distanza di circa 24 km dall'Imperatore in linea d'aria. Si trattava di una distanza enorme per una marcia di avvicinamento. Semplicemente Napoleone gli aveva assegnato un percorso che, dopotutto, lo portava lontano dal campo di battaglia. Ciò non toglie che Grouchy sbagliò nell'ignorare il suggerimento del valente Gèrard poiché in quel momento era mezzogiorno ed una marcia di avvicinamento sarebbe stata possibile.
Per concludere: Il maresciallo commise sicuramente degli errori a Waterloo, ma il suo errore fu poca cosa se paragonato a quello di Bonaparte.
(Fonte: http://waterloo.altervista.org/page4.html)
Tratto da: 19luglio1992.com