Abbiamo attraversato lager di brutte facce,
melme fetide, briciole di potere cannibalesche
nella loro sapiente capacità
di fagocitare anche l’increspatura del dubbio,
copulazioni spiaccicate con disprezzo
sulla pelle dei meschini
avvolti dalle loro debolezze di sopravvivenza,
icone della prima repubblica,
fascisti, traffichini, mafiosi, terroristi di stato.
Abbiamo creduto che il fondo era là,
che il momento di riemergere era arrivato
con la sua luce stellare sull’universo delle diversità,
sull’arco di melodie fruibili alle orecchie dei proletari
ma deprecabili per le brave signore in decolté.
In qualche angolo c’era anche il Cristo dei poveri
con la sua infinita dolcezza,
a dirci che anche su questa terra,
si poteva entrare nell’altra dimensione.
Non avremmo mai immaginato
che il disgusto diventasse cibo quotidiano,
che gli scheletri di guerra risorgessero
dai cimiteri in cui li avevamo sepolti,
che il porco più porco di tutti
potesse continuamente esibire i suoi muscoli
tagliuzzando a pezzetti la carne dei suoi fratelli,
che il pullulare di vermi sotto i piedi
opponesse alla voglia di schiacciarli
la difficoltà del rispetto per qualsiasi forma vivente.
Interminabile rassegna di brutti visi,
osceni lacchè dello zar “circonfuso”,
bisogno fisiologico di sputar loro in faccia
e dovere cristiano di perdonarli e amarli.
In tutto questo balugina, ci vogliamo credere,
la speme, ultima dea: non può finire così,
c’è un limite al masochismo, alla sopportazione,
all’indifferenza, al dominio della prepotenza:
la palingenesi è possibile, è già iniziata.
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