Pioggia batte sul piatto di un giradischi a spillo,
scivola sopra semi esausti di tempo
dispersi nel paniere delle dilatazioni;
dentro la musica languida Pink
scorrono ritagli di foto come ruote di carote
sezionate dal tagliere della memoria;
praticamente è il giorno posto in pentola
a cuocere se stesso e il suo malessere;
c’è una certa distanza tra il suo amalgama
e bambini che danzano su un arcobaleno
di sberleffi e magnolie, udite,
un minuto d’attenzione,
da quel poco che ci è dato sapere
c’è stato un convegno di cellulari,
per una volta tanto, niente pietà,
nessun rispetto per la data della creazione,
l’obsolescenza è ormai un refuso;
la risoluzione finale
sancisce che un sms è migliore della parola,
e se parola deve essere,
meglio registrata e ascoltata,
niente contatti diretti, niente baci,
non è igienico, favoriscono il confronto
che invece va evitato a qualsiasi costo.
Che c’è? Il giorno, quello in pentola,
si dipana tra l’insolvenza e la proposta.
Chi lo sa fare tracci schizzi e bozzetti,
chi no, stracci le sue nullità e si rassegni
alla sua condizione d’asino,
non abbiamo tempo da perdere.
Se non ci fosse la certezza che l’odio si può battere,
che, nell’ordine delle cose,
l’alternativa genera il suo opposto,
sarebbe davvero l’avvento del buio eterno,
i naselli strappati, teschio sulla bandiera,
l’umiliazione della diversità sino alla fine dei tempi.
E quindi dai, finirà, deve finire,
anche se c’è il rischio di remare al contrario,
la pace passa anche attraverso l’omicidio,
nessuno si spaventi, lo dice San Tommaso.
Passiamoci su, alimentiamo il disprezzo,
ficchiamo cactus ovunque c’è il tunnel dell’odio,
lo so, la pietà se n’è andata, dov’è la civiltà?
Che cosa abbiamo fatto per ridurci in questo stato?
Il porco s’erge sulle zampe posteriori
e i suoi scagnozzi ungono il proprio vomito
su stracci impestati di lebbra,
taglio di teste di bambini, bombe sugli ospedali.
Brodo solidificato d’infamia/e
dove inorridire non basta.
Ma non vuol dire, non è, non può essere
che il male sarà sempre,
ed è questo che ancora ci imbeve d’illusione,
vago soffio della dolcezza sullo tzunami dell’odio,
il fischio del treno in arrivo
che sovrasta l’ordine di radere al suolo
senza lasciare prigionieri.
E adesso basta, Mi vergogno,
io che non c’entro niente,
non accetterò mai d’appartenere
a questa rassegna d’imbecillità
codificata in tutte le sue gradazioni,
nessuno mi venga a dire
che anche noi siamo responsabili
e soprattutto non accetto la minchiata suprema,
ovvero che volere la pace
è schierarsi con una delle parti. Basta,
non si può sentire, è un oltraggio al cervello
se siete così astuti sparatevi tra di voi
e levatevi dalle palle.