di Giulietto Chiesa
La prefazione di Giulietto Chiesa al libro di Erika Renda e Luigi Sertorio "La mappa del denaro" (Aracne, 2018)
Considero questo libro [La mappa del denaro, Aracne 2018] come un evento eccezionale per la storia del pensiero umano. Penso che, se vivessimo in una “mappa” diversa da questa, in cui viviamo, la sua apparizione sarebbe salutata con entusiasmo collettivo, come una festa del sapere, perfino come una liberazione, come una palingenesi concettuale, come l’inizio di una mutazione antropologica.
Chi non ha ancora affrontato la sua lettura potrà pensare che io esageri, ma sono certo che, alla fine, comprenderà il senso del mio giudizio, sicuramente fuori del comune.
A me queste pagine - che ho avuto l’onore di leggere in anteprima in virtù della frequentazione con Luigi Sertorio, che la sorte mi ha consentito - hanno fatto venire alla mente un’altra lettura, altrettanto stimolante, quella di Ernesto Balducci: “L’Età del tramonto”. La “mutazione antropologica”, di cui Balducci parlava come di una speranza e di una necessità, era o avrebbe dovuto essere il punto di approdo di una riflessione collettiva dell’umanità di fronte ad un ostacolo insuperabile. Quello dell’emergere di una crisi che non sarebbe stato possibile affrontare mediante gli strumenti cognitivi così come erano venuti a formarsi - e a arenarsi - di fronte a un salto qualitativo della “complessità”.
Solo una vera e propria “mutazione antropologica”, pensava Balducci, avrebbe potuto affrontare, al necessario livello, la soluzione di questioni cruciali che avrebbero investito simultaneamente tutte le discipline del sapere. E non soltanto. La “complessità” della crisi avrebbe imposto - per essere prima ancora che risolta, compresa - una diversa idea dell’individuo, del suo rapporto con la natura, cioè con se stesso; delle relazioni tra la presenza dell’Uomo contemporaneo e la vita dell’ecosistema, e di questo con lo spazio, il cosmo; del significato e della storia delle aggregazioni umane; delle forme della politica. E praticamente di tutte le attuali conoscenze umane e delle loro interconnessioni.
Solo un altro “Uomo” avrebbe potuto essere educato, anzi educare se stesso, a un’altra vita: incomparabile con la nostra attuale. Poiché gli sarebbeapparso evidente che questa nostra vita non è possibile mantenerla nel contesto dello spreco, della violenza, dell’egoismo, del disordine, della sopraffazione, della guerra che essa sta producendo. In altri termini Ernesto Balducci vedeva come inevitabile il “tramonto” di questa civiltà. Essendo credente, e ottimista, tentava una descrizione possibile di questo passaggio. Era un filosofo, non un fisico, ma aveva visto lontano. Aveva egli stesso percepito il significato della complessità.
Luigi Sertorio affronta la stessa questione da fisico, anzi da ecofisico, ma al tempo stesso da epistemologo, da storico, da filosofo e da umanista, da biologo, da economista, e da tanti altri punti di vista. Vede anche lui il “tramonto” inesorabile di questa fase della vicenda umana. E ne tenta il “calcolo” guardando da più parti l'"oggetto” della sua ricerca. Che - a volerlo sintetizzare - è l’analisi del “ciclo” e della sua radicale, insostenibile contraddizione rispetto al “non-ciclo”.
Ed è qui, a mio avviso, che l’Autore imposta una visione radicalmente nuova della “prospettiva” che si affaccia. Una prospettiva che esiste nel tempo breve, ma che in un tempo lungo (la cui lunghezza dipende da molte variabili singole e variamente influenzantisi) svanisce e si annulla. Per lo meno se ci si riferisce alla prospettiva della specie umana. Quella del cosmo è qui fuori discussione, poiché su di esso noi uomini, al momento, non siamo in condizioni di influire. Aggiungerei di mio, en passant, solo questa notazione: “per fortuna”, perché, come ha detto Stephen Hawking, la stupidità umana è l’unica cosa infinita che esista. Ma è la prospettiva della specie - e della Vita - quella in discussione, eccome!
“L’era tecnologica energivora alimentata da riserva fossile, è destinata a finire”, scrive Sertorio nel capitolo intitolato appunto “Prospettive”. Perché? Perché “ciò che non fa ciclo tende presto o tardi all’immobilità”. La sentenza finale è di una icasticità impressionante:”L’equazione PIL= Energia è l’equazione della caducità o della follia”. E noi viviamo all’interno di “costruzioni etiche, politiche, economiche” che pencolano sull’orlo della follia proprio perché escludono la Natura dai loro calcoli. Cioè non abbiamo capito (e non siamo attualmente in grado di capire fino in fondo, o di capire del tutto) che tutte le costruzioni di cui sopra saranno spazzate via nella fase in cui comincerà a terminare il “transiente anomalo a cui l’uomo si è adattato deformandosi mentalmente”.
Cosa ha determinato l’inizio di questo “transiente anomalo”? L’invenzione dei motori alimentati da energia fossile, che, a sua volta, da quel momento in avanti, ha determinato tutta la storia dell’uomo. Lo scopo del libro, citando ancora le parole dell’Autore, è “spiegare cosa vuol dire transiente e cosa è il 'non anomalo'”. Ma - ed è una messa in guardia fondamentale - “qui non si emettono verità assiomatiche”; qui si ragiona tenendo presente il “richiamo all’umiltà”, cioè si deve ragionare lasciando da parte tutte le “centralità”in cui, come pregiudizi, siamo imprigionati: a cominciare dalla centralità dell’Uomo rispetto alla Natura. Una centralità del tutto arbitrariamente definita, insensata, presuntuosa, fonte di catastrofe.
Quando il “transiente” sarà “terminato” (questione che così formulata è insoddisfacente, poiché stiamo trattando di processi estremamente complessi, che avranno fasi imprevedibili e, mentre è possibile individuare, come s’è detto, l’inizio del “transiente”, risulta impossibile prevedere come, in che forma e quando esso finirà), non sarà la fine della dinamica della superficie terrestre, ma semplicemente l’inizio di una nuova era. Noi ci troviamo adesso nella fase in cui si comincia a capire cosa significa “transiente”, e in questo consiste la straordinaria importanza di questo libro. Scientifica, ma io direi anche politica”.
L’autore ne è perfettamente consapevole e, in diversi momenti della descrizione della “Mappa”, lo dimostra. Come quando scrive queste righe: “Ci sono uomini sciocchi e uomini saggi che camminano verso il futuro. Forse molti sciocchi e pochi saggi: è cruciale vedere se c’è un mix ottimale per guidare la specie umana nella transizione verso la continuazione della vita”. Tuttavia “nei testi di economia e nei testi delle leggi dello Stato, la Natura compare unicamente come oggetto esterno”. Noi siamo abituati a esaminare i diritti e a considerare l’etica “all’interno di un dominio rigorosamente antropocentrico”, e non contempliamo “l’interazione dell’uomo con la sfera inorganica e con la biosfera, nemmeno quando tale interazione è [divenuta] mastodontica, gravissima”. Una cecità che rischia di divenire stupidità suicida.
Si trova in questo nodo, a mio avviso, uno dei momenti topici della riflessione di questo libro. Quando Luigi Sertorio tocca la questione della sopravvivenza della specie, anzi della vita in generale. È vero, infatti, che la dinamica della superficie terrestre continuerebbe anche senza l’Uomo, ma se si affronta l’esame della “prospettiva” che lo includa, allora è indispensabile “fare i conti”, letteralmente, con la dinamica del mondo organico. Gli organismi viventi - scrive l’Autore - “si aggregano in morfologie collettive speciali che non hanno analogo nell’universo inorganico. Queste morfologie dinamiche sono portatrici dell’intelligenza della biosfera. L’entità di questa intelligenza non è quantificabile con i mezzi dell’intelligenza artificiale digitale. Essa contiene il concetto di autoconsistenza finalistica, che supera il concetto di feedback, costruzione matematica che compare nella teoria del controllo deterministico. Le due cose sono diverse perché la vita dell’organismo non è riducibile agl’ingredienti che compaiono in qualsivoglia problema deterministico e che possono essere prodotti in laboratorio”.
Questi “conti” l’Uomo del XXI secolo non è ancora capace di farli e dovrebbe cominciare a farli, poiché è venuto il tempo in cui la loro necessità emerge ormai imponente. Al contrario la nostra organizzazione sociale non riesce nemmeno ad attuare l’elementare “principio di precauzione”, che ci permetterebbe almeno di evitare di avventurarci su strade che non sappiamo dove conducono. Ahinoi!, “l’ecofisica è dottrina coltivata in due o tre università d’avanguardia. Non basta”.
Si aprono questioni che Gregory Bateson propose con raffinata eleganza e una certa dose di understatement: ha la scienza “il diritto di dire se certe tecniche debbano essere impiegate?”.
Ovvero: possiamo affidare a scienziati iper-specializzati (e cioè incapaci di cogliere la complessità), o a Accademie fossilizzate e pigre non meno che miopi,il compito di scegliere se consentire all’umanità di procedere su strade il sui sbocco non è noto? Domanda che dovrebbe, a rigore di logica, imporre una risposta negativa. Che deriva dall’esame delle mostruose accelerazioni in corso, dalla robotica all’irresistibile nano-incontrollabilità, alla vertigine dell’intelligenza artificiale che è ormai arrivata oltre la soglia dell’auto-apprendimento, cioè dell’autosviluppo. Tutte interferenti nei e sui processi naturali, che li modificano e li stravolgono imponendo “tempi innaturali”, cioè “turbando l’universo”. Mentre l’Uomo contemporaneo è sempre più angosciosamente simile al personaggio di quella barzelletta americana che racconta di un signore, caduto per caso da un grattacielo di 300 piani (ma con il cellulare in mano), che risponde a una chiamata mentre si trova a passare, in caduta libera, davanti al 200-esimo piano. “Come stai?”, gli chiede un amico. E lui risponde: “so far, so good”.
È un storiella comica irresistibile che Luigi Sertorio mi ha raccontato proprio in uno dei giorni in cui stavo scrivendo queste righe, all’inizio dell’Aprile 2017, mentre tutti i canali televisivi annunciavano l'"imminente" bombardamento americano sulla Corea del Nord e l’appena avvenuto bombardamento con la “madre di tutte le bombe” convenzionali su una improbabile serie di grotte afghane. Viviamo - dice Sertorio - nella “fase terminale dell’era tecnologica energivora, quella in cui la percentuale della popolazione umana che vive nell’assenza di ansia di conoscenza ha raggiunto il massimo della storia”. Ma le grandi masse umane non possono avere nessuna ansia di conoscenza essendo state coartatamente tenute all’oscuro di ogni possibile alternativa. Esse sono prigioniere di Matrix, così come lo sono le Accademie scientifiche, così come lo è la grande massa degli scienziati, sempre più composta di individui che conoscono a meraviglia il loro centimetro quadrato di zolla di sapere, ma che non conoscono nulla del prato in cui quella zolla si trova.
Viviamo tutti come se fossimo sdraiati a terra con il viso immerso nell’erba. È ovvio che, se restiamo in queste condizioni, penseremo che il mondo che ci circonda sia fatto di fili d’erba. Per capire dobbiamo alzare la testa. Vedremo il prato e poi il cielo. Ma i fili d’erba che ci impediscono di vedere il mondo sono l’equivalente dei “linguaggi” di cui la storia ci ha dotato: quelli della Religione, dello Stato e dell’Economia. “È evidente, scrive Sertorio, che questi linguaggi dovranno essere profondamente rinnovati”. Vediamo alcuni esempi: -“La violazione dei cicli naturali dev’essere azione da proibire (Religione)”. Qui l’Autore risponde dunque negativamente, anche lui come me, alla domanda di Bateson: non si può concedere alla scienza e alla tecnica di violare i cicli naturali. È un peccato contro la Natura e contro l’Uomo. Deve essere vietato. E, se saremo ragionevoli, lo vieteremo. Bisogna solo stabilire come si arriva a questa decisione e come sceglieremo chi questa decisione dovrà prendere a nome di tutti.
Ma ci sono altre due innovazioni da compiere. La seconda suona così: “L’accesso alla biosfera dev’essere un diritto (Stato)”. Dunque ogni idea di “proprietà della biosfera” dev’essere bandita come un delitto. La terza dice che “Il flusso solare” non può essere proprietà privata. (Economia)”. Sembra di entrare nella fantascienza, e invece siamo già nella cronaca, solo che non lo vediamo. E non lo vediamo non perché siamo ciechi ma perché ce lo nascondono i “proprietari universali”, che sono anche coloro che controllano l’informazione e la comunicazione. I processi di privatizzazionestanno investendo tutte le attività umane. Già oggi, dicono le statistiche, la proprietà dei beni esistenti sul e nel pianeta è prerogativa di un centinaio di persone. E l’esaurimento delle risorse energetiche non rinnovabili (che è inevitabile in tempi ormai “umani”) spinge i “proprietari universali” a indirizzare la ricerca delle modalità di un uso privato dell’unico flusso energetico praticamente eterno: quello dei fotoni che giungono sulla Terra dal Sole. Nella Mappa del Denaro ciò è razionale, ma produrrebbe una violazione del diritto al libero accesso alla biosfera. E sarebbe una vera e propria bestemmia, disumana e anti-umana, perché violerebbe tutti i cicli naturali. Sarebbe lo sterminio dei molti da parte dei pochi, in prima istanza, e la follia suicidaria come conclusione finale.
Le masse sono come i personaggi dei war games sui nostri computers - prendo ad esempio pratico il rinomato “GrandTheft Auto” - che si muovono dentro una mappa, anch’essa disegnata con tutti i più minimi particolari per renderla assolutamente realistica. È una mappa che non conduce da nessuna parte e che permette di arrivare soltanto fino ai suoi confini. Un po’ come quella in cui viveva, senza saperlo, Truman Burbank, fino a che la sua barchetta andrà a sbattere contro la parete del contenitore. Ecco: la “Mappa del Denaro” è il war game in cui viviamo. E qui la parola “war”, guerra, è perfettamente appropriata, perché in quella mappa ci può essere solo guerra. In quella “Mappa” e possibile vedere (in realtà nemmeno questo) i lingotti d’oro che si accumulano nei forzieri centrali, ma non si potrà mai capire come mai l’intero spazio disegnato per noi non contempli l’immensa massa di scarti e di rifiuti che sta soffocando il mondo reale.
La “Mappa del denaro” è ormai quella della finanza astratta, che è disegnata dalla “Banca”. Che ha costretto all’obbedienza lo “Stato”. Che si è arreso dopo essere stato soverchiato, corrotto, comprato. La Banca ha quindi scritto le leggi dello Stato, trasformando in legge la rapina che essa compie. E contemporaneamente ha formato e armato l’esercito dei suoi esegeti (gli economisti), dei suoi soldati (il mainstream), dei suoi poliziotti (i servizi segreti). E la società ha perduto il controllo sulla dinamica del denaro, cioè ha perduto ogni democrazia, mentre “la finanza astratta (...) corrode in modo oscuro e imprevedibile la struttura della vita collettiva”.
È questo un altro dei momenti alti, politici, che conseguono dal ragionamento innovativo proposto, in questo libro fondamentale, da Luigi Sertorio. Occorre reimpostare, riscrivere, il racconto dell’ecosistema. E questo può essere fatto solo partendo dalla complessità che intravvediamo. Bisogna guardare avanti - sempre che ve ne sia ancora il tempo, e sempre che ve ne siano le forze intellettuali capaci di farlo - per costruire un'"altra teoria". In politica siamo ancora tutti - scrive l’autore con un certa ironia - ai tempi di Marx, che fu colui che descrisse “il transiente del motore nella storia evolutiva della specie umana”. (...) “Pochi dei concetti formulati da Marx e penetrati nel pensiero di tutti gli economisti del tempo presente, saranno utilizzabili nell’era post-fossile”.
Per cancellare la “Mappa del denaro”, che imprigiona il genere umano, la vita, e li costringe ad una somma-zero mortale, occorre costruire un movimento cosciente di popoli, di masse umane. Impresa che richiede, in primo luogo, un'"altra teoria". Il compito politico e scientifico del presente è creare questa teoria.
(Giulietto Chiesa, Aprile 2017)
Tratto da: megachip.globalist.it